Ichino e i suoi ascensori

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Se proprio dobbiamo fare un dibattito su cosa la sinistra sia (ancora?), tutto può tornarci utile, persino Pietro Ichino che non ha perso tempo a cominciare a spiegarci che cosa la sinistra sia e cosa la sinistra debba fare. Riassumo un intervento già piuttosto breve: la sinistra deve costruire "ascensori sociali", viene usata proprio questa espressione, che possano portare ai primi piani i "poveri", Ichino usa proprio questo termine: e uno degli ambiti in cui questi ascensori dovrebbero essere impiantati è ovviamente la scuola, che non lo fa a causa dell'opposizione dei sindacati. 


La scuola ovviamente avrebbe bisogno di adeguati investimenti per trasformarsi in un'agenzia di ascensori, ma finché i sindacati si mettono così di traverso è impossibile e quindi niente, e la sinistra perde anche per questo motivo. Lo so che messa in questi termini sembra una presa in giro, ma leggete pure il pezzo di Ichino e ditemi se la mette giù più complicata di così. Non lo fa. E quindi insomma, viene voglia di rimanere al suo livello e chiedergli, prof. Ichino: ma perché proprio ascensori? Perché non aeroplani, treni, transatlantici sociali, perché l'unico mezzo di trasporto che riesce a individuare per le sue metafore è quello che può contenere meno persone in assoluto? Vede professore, la questione è tutta qui: lei accetterebbe di buon grado che qualche povero riuscisse a riscattarsi, ma uno alla volta, con calma, e integrandosi nella struttura che i ricchi hanno progettato. A sinistra abbiamo concezioni diverse: vogliamo migliorare le condizioni di vita di intere classi sociali; gli ascensori non ci fanno impazzire perché, banalmente, vogliamo salire tutti assieme e senza aspettare un turno all'infinito: se il palazzo non lo consente è un problema del palazzo, bisognerebbe progettarne un altro. Ci sbagliamo? Ci sbaglieremo anche, e lei ci lasci sbagliare. La fiaba dei rags-to-riches, l'Uno su Mille che Ce La Fa, ha prodotto anche ottima letteratura ma non è la nostra fiaba, non è la nostra letteratura: noi siamo i 999 apparentemente sconfitti, questo è il campo che ci siamo scelti – ma nella maggior parte dei casi non ce lo siamo nemmeno scelto, vi ci siamo trovati e basta. Perciò perché continuare a consumare il suo e il nostro tempo con queste lezioncine, e proprio adesso che dall'altra parte c'è così tanto spazio vuoto? Sul serio, Giorgia Meloni ha vinto le elezioni con un partito di cartapesta, un grumo di slogan identitari dietro ai quali non c'è quasi nulla: chissà che sogni inquieti da quella parte adesso che non c'è più nessun avversario da additare, chissà che silenzi imbarazzanti; magari se prova a mettersi a raccontare la fiaba degli ascensori l'ascolteranno, loro, senza alzare gli occhi al cielo: non vale la pena di provare? E diventerebbe almeno tutto un po' più chiaro: da una parte chi si "occupa dei poveri", come scrive lei tra virgolette, organizzando giochi a premi e altri strumenti di valutazione atti a selezionare i poveri più servizievoli e adatti ad accedere ai piani alti; dall'altra noialtri coi nostri problemi più terra-terra, l'inflazione, la speculazione, cose complesse che adesso non credo che potrei spiegarle.  

Tra le varie cose che tirò fuori aa Meloni in campagna elettorale (ma ve la ricordate quant'era caciarona al tempo? che nostalgia, sembrano passati anni) a un certo punto spiegò che sognava di vivere in un Paese in cui non serviva la tessera della Cgil per insegnare a scuola. Questa cosa è riuscita a dire, in anni in cui gli insegnanti non hanno partecipato nemmeno a uno sciopero unitario per chiedere strumenti di ventilazione nelle classi in cui circolava il covid. Per cui insomma se il prof vuole continuare ad annunciare meravigliose riforme che potrebbero danimarchizzare la scuola italiana in pochi mesi, e a spiegare che se non sono state fatte è unicamente a causa dei sindacati retrogradi e cattivi – non proprio gli stessi sindacati che non riescono a far scioperare nemmeno i loro tesserati, diciamo una loro versione idealizzata, trasfigurata, una Spectre che boicotta ogni riforma senza nemmeno organizzare un corteo, con la pura catalizzazione dell'energia negativa di migliaia di insegnanti neghittosi – se il prof vuole raccontare quest'altra favoletta, pare proprio che un pubblico disposto a bersela ci sia. Ma è un pubblico di destra, come è sempre stato di destra il pregiudizio antisindacale. Poi certo, essere di destra non significa essere scemi, per cui non escludo che dopo un po' anche loro comincino a domandarsi come mai le Danimarche di Ichino non si realizzano mai, simili in questo a tutti i ponti sullo Stretto che in campagna elettorale sembrano sempre a un passo dall'essere costruiti e dopo il voto invece non se ne parla più. Vuoi vedere che anche lì sono i sindacati a opporsi, continuando a tenere la Sicilia a 3 Km dalla Calabria? laddove basterebbe che si avvicinasse appena un po'.

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Ma l'autocritica di cosa

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Uno dei tag di questo decrepito sito, lo trovate molto in basso, recita "la sinistra perde anche per questo motivo": sì, questa idea che la sinistra perda sempre e debba fare sempre autocritica era un luogo comune abbastanza nauseante già vent'anni fa. In seguito abbiamo perso altre volte – si potrebbe dire che abbiamo perso sempre – ma non mi pare sia successo per difetto di autocritiche. Potrebbe anche darsi che ci manchi l'opposto: un po' di autostima. Non tantissima per carità, diciamo quel minimo necessario a non leggere il Foglio come successe a tanti a partire dal povero Veltroni; a non soccombere all'idea del leader carismatico che prima o poi vincerà delle immaginarie elezioni in stile americano – tutta una fantasia di riscatto grazie alla quale ci siamo letteralmente scritti una legge elettorale su misura di Giorgia Meloni e adesso dovremmo anche ascoltare gente che ci spiega che la sinistra ha perso perché non è stata abbastanza di destra. Metto le mani avanti: io il Pd non è che l'abbia votato, e non è che ci sarei rimasto male se avesse perso seriamente (l'ho pure scritto), aprendo magari la porta a una fase costituente eccetera. Ma non è andata esattamente così, guardando i numeri; non sopporto chi parla male del Pd per automatismo, o per una reazione ideologica che non riconosce in sé stesso e denuncia negli altri: e non mi dispiacerebbe che adesso qualcuno dalla base del Pd alzasse un minimo la voce e dicesse: ma autocritica di che? Un partito senza più un leader, con una dirigenza visibilmente raccogliticcia e dimissionaria; senza una direzione e con una strategia perdente; che senza venire da un particolare successo elettorale ha comunque partecipato agli ultimi governi, prendendosi la responsabilità di decisioni responsabili ma pesantissime per la qualità della vita degli italiani; un partito che veniva percepito come quello del rigore e dei sacrifici, abbandonato lungo la strada anche dai quotidiani della sua area, che avevano deciso di sponsorizzare l'ennesimo progetto centrista, l'ennesimo portaborse di Montezemolo; un partito condannato alla sconfitta è andato alle elezioni e si è preso quasi il 20%, quasi un quinto degli italiani lo hanno votato, e adesso dovremmo fare l'autocritica? Per carità, un po' di esame di coscienza non fa mai male, e non c'è dubbio che a contarli mancano quasi un milione di voti. Il M5S ne ha persi parecchi di più ma non sembra che nessuno chieda a Conte una particolare autocritica, anzi ci si complimenta per lui per il notevole risultato e la cosa ha un senso: la fase dei partiti di massa è finita da un pezzo, il periodo in cui si misurava l'insuccesso di un partito da una lieve flessione e un +2% era un terremoto politico è certamente finita. Nessuno poteva aspettarsi da Conte un risultato molto migliore: ma nemmeno da Letta, via. Il motivo per cui dal giorno dopo siamo bombardati da articoli su perché la sinistra perde ha ben poco a vedere con l'oggettiva prestazione elettorale (che io trovo persino sorprendente: voglio dire, Enrico Letta con le mani legate ha fatto il 19%!: chissà se gliene sleghi una, o se magari trovi per il partito di centrosinistra una faccia che non sia quella del nipote di Gianni Letta). Ha più a che vedere con l'inerzia: eravamo tutti convinti che il Pd avrebbe perso e probabilmente molti editoriali erano già nel cassetto assai prima del 25 settembre.

In particolare ho sentito dire che ce n'è uno che spiega che la sinistra deve abbandonare il "politically correct", proprio così, siamo nel 2022 e questo sarebbe il problema, altro che guerra in Ucraina e crisi climatica e pandemia: il politically correct. Avverto che non l'ho letto: non si tratta di snobismo, è dietro il firewall di un quotidiano a cui non intendo dare più un soldo. Siccome non l'ho letto, non lo discuto, perché a dispetto del titolo scemo potrebbe trattarsi di un intervento molto intelligente: non sarebbe la prima volta che il titolista fodera di merda un contenuto di qualità per renderlo annusabile ai suoi lettori ideali, sono cose che succedono, chi è senza peccato scagli il primo titolo intelligente. Preferisco fermarmi al titolo, perché davvero, il problema è tutto lì: chi scrive titoli del genere, non sta partecipando a una sessione di autocritica della sinistra. Chi usa "politically correct" continua a mettere in circolazione una definizione di destra, che serve alla destra per costruire un determinato quadro ("frame") intorno agli argomenti della sinistra. Magari lo fa in buona fede, ma... nel 2022? Sul titolo di un quotidiano nazionale? Naaa. Questo non significa che non si possa discutere di tante cose, a sinistra, e avere un atteggiamento critico nei confronti di un certo tipo di approccio, chiamiamolo woke: vogliamo aprire un dibattito sul linguaggio inclusivo? facciamolo pure, io nel mio credo di averlo aperto più volte. Ma lo chiami, appunto, linguaggio inclusivo. Se lo chiami "politically correct", sei il tizio di destra che vuole spiegarci come essere di sinistra: accetta la cosa, votati il tuo Calenda e levati di torno. La sinistra ha tanti problemi e tu non sei la soluzione. Non sei neanche la sinistra. Forse sei il problema. 

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La sinistra nel vicolo cieco dell'emergenza

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Ci vorrebbero i giacobini

Se avessi il tempo credo che vorrei scrivere un pezzo su come la pandemia ha infilato la sinistra radicale in un vicolo cieco. Se avessi il tempo e la diplomazia; se fossi capace di scriverlo senza concedere nulla al mio gusto per la polemica perché davvero, non ce l'ho con nessuno. Non è colpa di nessuno. Oddio qualcuno avrebbe potuto comportarsi meglio, ma saremmo comunque nello stesso vicolo cieco. La nave è salpata molto prima che il virus saltasse di specie (ammesso sia successo), quel che è accaduto in questi mesi è poco comprensibile come qualsiasi immagine a pochi istanti da un impatto. I posteri ci troveranno poco lucidi, ecco però posteri non crediate che al nostro posto avreste combinato chissà che. 

Se avessi il tempo, dopo un meditato preambolo, affronterei il convitato di pietra, quel busto di Michael Foucault a centrotavola che ci impedisce di vederci bene tra noi e ci intimorisce con la sua gravitas glabra. Su tante cose aveva non aveva torto; c'è tutto un discorso su come il Potere usa l'Emergenza che è ancora perfettamente valido; ma anche nel peggiore dei casi, davvero assumiamo per un istante l'ipotesi che questo virus sia stato liberato da un laboratorio per provocare un globale riassestamento totalitario della società, bene, adesso che si fa? Si nega che l'emergenza esista, che non provochi tot morti al giorno anche tra un'ondata epidemica e l'altra, si denunciano mascherine e green pass come marchi della Bestia? Alcuni si sono ridotti a questo. La maggior parte, voglio credere, no: e però le opzioni a disposizione non sono molte di più. 

Siamo all'incrocio di due strade che conosciamo, e quindi potevamo immaginare che ci conducessero qui, davanti a un muro troppo alto. Da cinquant'anni abbiamo imparato a diffidare di chi proclama stati di emergenza, carestie guerre e pestilenze; ma è persino da più tempo che sappiamo che gli stili di vita imposti dall'industrializzazione e dalla globalizzazione non sono sostenibili a livello planetario, che insomma prima o poi emergenze ce ne saranno per forza, e saranno vere guerre carestie e pestilenze. Il potere le avrà provocate? Probabilmente. Cercherà di cavalcarle? Sicuramente. Questo le rende meno vere? No: e quindi eccoci qui, come doveva sentirsi il lettore sbigottito dell'Apocalisse di Giovanni mentre leggeva che al momento della Rivelazione ci saranno in giro tanti falsi profeti. Forse il Covid è un segno della fine, forse no ma la fine è comunque qui nei pressi, ha veramente molto senso domandarselo? Ammettiamo di nuovo per un attimo che si tratti di un falso allarme, niente più che un'influenza stagionale un po' più forte: lo sappiamo che stanno già arrivando allarmi autentici, rincari dell'energia e tutto quanto, e quando li recepiremo, reagiremo in un modo diverso? O ci saremo talmente incattiviti da rifiutare qualsiasi misura emergenziale come ora rifiutiamo il Green Pass? Stiamo semplicemente esprimendo la nostra diffidenza per il Potere (qualsiasi potere) o non siamo semplicemente nostalgici del vecchio mondo pre-lockdown? Perché la sinistra può permettersi tanti difetti, ma non la nostalgia per il passato: quello ci dispiace tanto ma è competenza della destra. D'accordo, è storicamente assodato che il potere crea problemi e poi si accredita come l'unico che riesce a risolverli. Preso atto che si comporta così, noi invece come ci comportiamo? 

Pestiamo i piedi?

Ho in mente esempi – tutti antipatici – se avessi il tempo di scrivere un pezzo equilibrato vorrei riuscire a prenderli con le pinze, a spiegare nel modo più equanime possibile che non ci siamo, capisco l'intenzione, capisco tutto, ma non ci siamo, insomma c'è tutta una frangia importante della sinistra che si opponeva al Green Pass – e posso capirlo – chiedendo l'Obbligo Vaccinale – e non ci siamo. Si reagisce a un provvedimento di eccezione chiedendo un provvedimento ancora più eccezionale (e di quasi impossibile realizzazione pratica), insomma la si butta in caciara senza avere una minima idea di quello che si sta chiedendo, come le rane di quella vecchia favola. Dopodiché Zeus-Draghi cala dall'alto il Green Pass obbligatorio, e a questo punto qualcuno avrà capito che fosse una richiesta dei sindacati. 

La sinistra dovrebbe raccogliere con coraggio le sfide della tecnologia e avrebbe potuto dare un'occhiata più da vicino al più grande esperimento didattico collettivo mai tentato in Italia, la didattica a distanza: tanto più interessante quanto completamente improvvisato dagli insegnanti, nel silenzio attonito di quasi tutta la filiera di consulenti didattici che per anni si erano accreditati presso il ministero come latori di chissaquali innovazioni: per lo più chiacchiere sulle competenze e test a crocette che nel momento del bisogno non ci sono serviti a nulla. La sinistra radicale invece ha deciso per lo più che la DaD era il male, che avrebbe senz'altro portato a suicidi e disperazione, e si è precipitata ad abbracciare qualsiasi ricerca la confortasse su questa opinione: non importa se i numeri erano un po' falsi o se il Corriere e il Ministero la pensavano esattamente allo stesso modo; c'è solo una scuola e dev'essere al 100% in presenza, perché noi l'abbiamo fatta così e ciò ci ha resi le persone perfette che siamo. Ma questa è esattamente nostalgia, e con la nostalgia la sinistra non dovrebbe avere molto a che fare.

La sinistra dovrebbe sorprendere gli avversari con una competenza tecnica superiore e un'abitudine inveterata a ragionare in termini di strutture, sovrastrutture e infrastrutture, perché è questo che ha sconfitto il nazismo, la capacità di smontare intere città industriali e ricostruirle in in Siberia: e invece continuo a leggere gente che si lamenta che non si sta usando la bacchetta magica per raddoppiare gli autobus e i treni, oh, niente da fare. Il giorno che per caso qualcuno vi facesse entrare nella stanza dei bottoni, provereste subito a raddoppiare i treni. Quando vi convincessero che tecnicamente non si può, cerchereste di raddoppiare gli autobus. Quando vi mostrassero il preventivo vi ridurreste a raddoppiare i banchi di scuola, magari con le rotelle, ecco, tutto questo è già successo: qualcuno come voi o comunque con un idealismo simile e la stessa carenza di senso pratico è già entrato nella stanza dei bottoni, e ora abbiamo spazi già limitati occupati da scorte di banchi inutili sia per il distanziamento sia per la DaD, e i comuni continuano a tagliare i servizi di trasporto perché nessuno ha pensato che i veri fondi dovessero arrivare a loro, nessuno sa più chi fa le cose quando e dove. 

La sinistra dovrebbe essere fieramente operaista e riconoscere nel lavoro la trave portante su cui si fonda la società: e invece è successa questa cosa, per carità inevitabile, per cui la maggior parte degli esponenti della sinistra radicale sono rimasti ai margini delle filiere produttive, confinati in ghetti professionali meno confortevoli di quanto potrebbero apparire, insomma fanno lavori creativi ed è ormai da due anni che li sentiamo lamentarsi perché ad es. la gente non va più a teatro e ora pure alle presentazioni dei libri bisogna controllare il green pass – se avessi il tempo riuscirei ad articolare la cosa senza risultare offensivo ma insomma, secondo voi in una situazione del genere è davvero così strano che il potere ci tenga a tenere le fabbriche un po' più aperte dei teatri? Sì, secondo loro è strano, se ne lamentano, maledetta Confindustria. Se avessimo il contrario, chiuse le fabbriche e aperti i teatri, chissà quanti cassintegrati in fila ai botteghino. E lo capisco che per i lavoratori dello spettacolo è dura, sono solidale con le vostre rivendicazioni così come voi senz'altro sapete che mangiare, dormire sotto un tetto, mandare i figli a scuola sono attività che per forza vengono prima dello spettacolo, senza le quali comunque gli spettatori non avrebbero la possibilità di assistere a nessuno spettacolo. Questa cosa la capisce persino Confindustria – non può permettersi di non capirla. Noi possiamo permettercelo?

La sinistra dovrebbe essere all'avanguardia nella competenza scientifica (avrebbe dovuto accorgersi del rischio pandemia quand'era ancora un rischio) e nell'elaborazione di scenari alternativi: dovrebbe continuamente chiedersi Che fare? e non dovrebbe vergognarsi di produrre risposte drastiche. Questo nella teoria. Nella pratica continua a intonare lamentazioni per il Povero Runner, un tic retorico che ti fa riconoscere la prosa di sinistra tanto quanto "Bill Gates", " idrossiclorochina" o "stella di David" ti fanno riconoscere da lontano il delirio complottardo. Il Runner che malgrado nella vita reale si sia già rimesso a correre in scarpette da un anno e mezzo, nei dibattiti in rete continua a scappare da folle inferocite affamate di capri espiatori, è ormai il personaggio di una Colonna Infame completamente immaginaria. Dato per scontato che il potere è alla costante ricerca di capri espiatori da additare, forse la reazione migliore non è inventarsi agnelli sacrificali per olocausti che per ora non si sono visti.

La sinistra dovrebbe cambiare il mondo, ma il mondo forse cambia troppo veloce e la sinistra potrebbe essersi accontentata di rappresentare questo cambiamento, di metterlo in scena in un determinato spazio temporaneamente liberato. Questo lo potrei capire: rappresentare è pur sempre meglio di niente. Ma attenzione a non rappresentare soltanto un 40-50enne che si strugge perché non può sfoggiare la sua tuta di lycra nel parco. Siamo tutti meglio di così. Tutti, anche il 40-50 enne in lycra è meglio di così, bisognerà illuminarlo in un modo diverso ma garantisco che è meglio di così. 

La sinistra dovrebbe qua, la sinistra dovrebbe là. Quando l'Assemblea Nazionale votò la guerra contro l'Austria, i giacobini si opposero: per loro era relativamente facile indovinare che si trattava di un'emergenza ad hoc creata dalla corona di Francia per inceppare l'inesorabile ruota della rivoluzione. Quando i fatti diedero loro ragione, e si ritrovarono al potere, i giacobini non finsero che la guerra non esisteva: era stata una pessima idea, non l'avevano voluta, ma ormai si stava combattendo e andava vinta con tutti i mezzi possibili. Non importa quanto un'emergenza sia autoindotta da un sistema per perpetuarsi: una volta appurato che l'emergenza c'è, la sinistra non ha nessun diritto di nascondersi o fuggire nel privato o a teatro. Se avessi tempo cercherei di motivare tutto questo con serenità ed equilibrio. Evidentemente non ne ho. 

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Liberi e non troppo uguali a Corbyn

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Compreremo ottomila case. Non è andato proprio per il sottile, Jeremy Corbyn, quando domenica scorsa Andrew Marr della BBC gli ha chiesto cosa avrebbe fatto il Labour per i senzatetto britannici. Potrebbe sembrare la classica promessa elettorale, salvo che le elezioni ci sono già state, ma a questo punto nel Regno Unito potrebbe succedere davvero qualsiasi cosa – qualcuno comincia a parlare di un secondo referendum sulla Brexit. L’approccio di Corbyn è quello di un solido marxista che dietro a ogni fenomeno riconosce la sagoma della lotta di classe: la polemica contro gli speculatori che lasciano le case sfitte in attesa che i prezzi risalgano è un suo tradizionale cavallo di battaglia. Dietro allo spot populista (compriamo subito ottomila case, nessuno dormirà più per strada) c’è quindi l’abbozzo di un programma sociale: daremo alle autorità locali il potere per requisire le abitazioni che non vengono deliberatamente immesse nel mercato. C’è l’identificazione di un nemico di classe: il proprietario che non vende o non affitta. Lui probabilmente non voterà Corbyn, e Corbyn senz’altro il suo voto non lo chiede.
Questa è forse la differenza più grande coi gentisti italiani: anche loro, ultimamente, in fatto di promesse non scherzano. Ma quando poi si chiede a Di Maio dove troverà la copertura per il reddito di cittadinanza, o a Berlusconi dove raccatterà i soldi per portare la pensione a mille euro (specie se nel frattempo Salvini pretende la flat tax), la risposta è sempre un po’ vaga. Il populismo italiano è un fenomeno trasversale che rifugge la lotta di classe e si basa sull’idea che da qualche parte esista un immenso tesoro, un serbatoio di risorse intatte a cui lo Stato ancora non ha attinto a causa della malignità dei suoi rappresentanti. “Aboliremo gli enti inutili!” propone Di Maio, forse senza sapere che se ne parla almeno da 40 anni e che molto è stato già abolito – ma non importa, da qualche parte probabilmente esistono ancora milioni di euro da redistribuire ai disoccupati. E poi, naturalmente, si possono mandare a casa i politici (che in effetti hanno sempre meno soldi per la campagna elettorale, e questo per ora sembra renderli più disperati e rapaci), e che altro c’è? Le banche avide (ma molto spesso sono in sofferenza), i dipendenti pubblici fannulloni (ma quanti saranno?), gli insegnanti che invece di fare 18 ore alla settimana potrebbero farne di più (ma ne fanno già molte di più) e, stavamo per dimenticarli, gli evasori fiscali. Ma di quelli Berlusconi, Grillo (e Casaleggio) hanno sempre parlato poco.
Ne parla più volentieri la sinistra – già, perché c’è anche una sinistra che andrà alle elezioni in Italia. Neanche a farlo apposta, poche ore dopo la dichiarazione di Corbyn è stato pubblicato il programma elettorale di Liberi e Uguali, il movimento che proprio dal Labour sembra avere copiato almeno lo slogan (“Per i molti, non per i pochi”). Si parla di alloggi per i senzatetto, nel programma di LeU?
Se ne parla, sì: e meno male, visto che i senzatetto che nel Regno Unito vengono considerati un’emergenza sono intorno ai quattromila, mentre in Italia l’Istat ne conta molti di più: cinquantamila nel 2014. Ciononostante l’argomento non scalda la campagna elettorale (i senzatetto non votano) e anche LeU dedica a tutta la questione della prima casa appena due righe al capitolo Welfare: “La crisi ha lasciato in eredità un enorme patrimonio immobiliare abbandonato che pesa sui bilanci delle banche. Dalla sua acquisizione, come abbiamo già detto, può venire una risposta importante all’esigenza di tornare a rendere effettivo il diritto alla casa”. Più su in effetti si era proposta “la creazione di un fondo pubblico per l’acquisizione dei crediti in sofferenza garantiti da immobili, da destinare all’edilizia popolare con affitti calmierati”. Sono proposte di buon senso, molto tecniche e che svelano un approccio piuttosto distante da quello di Corbyn. Per lui una bella casa sfitta è un’ingiustizia, e il fondo immobiliare che la possiede l’evidente nemico; per LeU il patrimonio immobiliare abbandonato “pesa sui bilanci delle banche”, un’espressione che tradisce un istintivo moto di pietà, del tipo “povere banche, che vi siete accollate la prima bolla immobiliare dal dopoguerra, in un qualche modo vi aiuteremo”.
In controluce, si indovina tutta la differenza tra le due storie: Corbyn è un virus vetero-marxista che è sopravvissuto nel Labour a ogni vaccino blairiano, fino a prendere il sopravvento. Mentre i Liberi e gli Uguali che si stringono intorno al cartellone di Pietro Grasso sono per lo più amministratori, che con le banche dei loro territori hanno un’antica familiarità: conoscono i loro limiti e non saprebbero chiamarle nemiche nemmeno quando si tratta di spararle grosse in campagna elettorale.Con tutto questo, da elettore di sinistra non mi sento davvero di poter fare lo schizzinoso:
Con tutto questo, da elettore di sinistra non mi sento davvero di poter fare lo schizzinoso... (continua su TheVision)
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Senza Sinistra Sulle Schede (Si Sopravvive) (Spero)

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Lo sapete che la sinistra è in crisi? Lo è più o meno da sempre, almeno nella narrazione dei quotidiani. Lo è per definizione: mentre la destra fa paura, sempre sul punto di svoltare, la sinistra è divisa, disorientata, eccetera. Serve un esempio? Questo è appunto il mestiere del commentatore. Trovare ogni tot giorni un esempio diverso.

Lo spunto dell’ultima settimana: pare che sulle schede elettorali, per la prima volta dopo tanti anni (ma quanti?) non vedremo più la parola “sinistra”. In realtà qualche fortunato avrà modo di vederla ancora, nel bollino col quale si presenteranno insieme i principali partiti trotzkisti italiani, che sono appena due. Folklore a parte, le formazioni di sinistra che hanno qualche chance di sbarcare in parlamento (Potere al Popolo, Liberi e Uguali) hanno rinunciato a mettere nel simbolo la parola che comincia per S. Quanto al PD, com’è noto, la “S” l’ha rottamata ben prima che arrivasse Renzi: già nel 2007, quando gli allora Democratici di Sinistra si fusero con i post-democristiani e centristi della Margherita. Risultato: a 22 anni dalle elezioni del ‘96 (in cui il partito più votato in Italia risultò proprio quello dei DS) gli elettori italiani non troveranno “sinistra” sulla scheda. È un fatto grave?

No.

Ma è interessante notare come viene raccontato, con quell’attenzione per il bicchiere mezzo vuoto che è necessaria a chiunque voglia parlare di sinistra (e quindi di crisi). Si dà per scontato che qualsiasi novità debba coincidere con qualcosa di negativo: se non c’è più la parola “Sinistra” ci stiamo senz’altro perdendo qualcosa. Qualcosa che c’era già, e quindi senz’altro è qualcosa di antico, e di nobile. Qualcosa che non riusciamo più a recuperare perché siamo in crisi. Nota: questo modo di pensare è in assoluto l’atteggiamento meno “di sinistra” che si possa immaginare. L’attenzione maniacale alle tradizioni antiche o presunte tali è quello che ci si aspetterebbe dalla destra: ma appunto, in Italia la destra si racconta in tutt’un altro modo. È scaltra, si annida, prolifica nell’ombra e al momento giusto prenderà il sopravvento. Se la destra rinunciasse all’improvviso al suo nome, i commentatori non penserebbero che è in crisi. Sagacemente suggerirebbero che si stia mascherando per ottenere più consensi. Il problema in realtà non si pone, perché la destra ha usato raramente la parola “Destra” sui suoi bollini elettorali. E invece, la Sinistra, l’ha usata poi così spesso?

Neanche tanto... (continua su TheVision)
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È facile ridere dei Liberi (e Uguali)

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È facile fare ironia su Liberi e Uguali – la nuova formazione politica tenuta a battesimo domenica scorsa – e molti osservatori infatti non hanno perso tempo. Tanto per cominciare è un raggruppamento di sinistra, e mentre la destra è per definizione inquietante e in crescita, la sinistra è sempre sventurata e in crisi. È una questione di percezione, che nulla ha a che vedere coi fatti o coi numeri (in questo momento i sondaggi danno a LeU qualche punto in più di Fratelli d’Italia, una formazione di destra che ha una storia altrettanto travagliata).
Quando si parla di sinistra non ci si stanca mai di rivangare i dissidi, le scissioni, i partitini che fanno più notizia quando si spaccano di quando si ricompattano. In effetti LeU raccoglie i cocci di tre piccole scissioni del PD: i fuoriusciti di quest’anno che hanno creato il Movimento Democratico Progressista Articolo Uno; i civatiani di Possibile che erano usciti già nel 2015; il gruppo di Fassina, che nello stesso 2015 aveva formato Sinistra Italiana con i vendoliani di Sinistra Ecologia Libertà, partito che a sua volta nasceva da due microscissioni in seno a Rifondazione Comunista e PCdI, e dalla fusione con alcuni ambientalisti – ma a questo punto probabilmente vi siete persi, servirebbe un disegno e su internet ce ne sono di divertentissimi. Il disegno poi si potrebbe prolungare andando indietro nel passato fino al 1989 – ma anche al 1968 – ma anche al 1890, perché il frammentarismo della sinistra ha radici antiche, e al di là delle facilissime ironie è un fenomeno strutturale: se la sinistra è il luogo (mentale) della libertà e del confronto, è abbastanza logico che sia anche il luogo delle divisioni, dei dissidi, degli scazzi – chi preferisce obbedire a un capo può andarsene a destra, dove scissioni e scazzi ci sono comunque, ma fanno meno notizia.
 



(Ho scritto un pezzo per TheVision, si chiama proprio È TROPPO FACILE FARE IRONIA SU LIBERI E UGUALI).

È facile ridere di Liberi e Uguali, magari facendo notare la contraddizione tra l’impostazione progressista e l’età media degli esponenti più importanti: Pietro Grasso, nominato leader per acclamazione, ha 73 anni. Massimo D’Alema, condannato dal suo personaggio a impersonare l’eminenza grigia della situazione, ne ha 68. Pierluigi Bersani 66. La sinistra non la dovrebbero fare i giovani? Sì, e infatti tra i Liberi e Uguali ci sono anche Giuseppe Civati (42) e Roberto Speranza (38). Il fatto che gli anziani siano più spesso inquadrati è in parte un effetto ottico: i giornalisti discutono più facilmente di e con personaggi che sono già stati a lungo sotto i riflettori. Fino a qualche anno fa questa era la prassi in tutti i partiti dell’arco costituzionale: poi sono arrivati i grillini e i rottamatori renziani, e oggi, guardando un notiziario, è più facile imbattersi in un politico quarantenne che in un sessantenne. Berlusconi è ovviamente un’eccezione, e la sinistra è un’altra – ma quest’ultima è un’eccezione tutt’altro che italiana: Jeremy Corbyn, leader dei laburisti inglesi, ha la stessa età di D’Alema; Bernie Sanders, agguerrito candidato di sinistra alle primarie del Partito democratico USA, ne ha tre più di Pietro Grasso. Anche loro sembravano rispettabili “vecchietti”, con entrambi i piedi nella terza età, prima di svelare un carisma d’altri tempi appena la campagna elettorale è entrata nel vivo: a Grasso potrebbe succedere la stessa cosa? Vedremo. Senz’altro sinistra e giovinezza non sono più sinonimi, ammesso che lo siano mai stati. Se non lo sono in Gran Bretagna o negli USA, non c’è motivo che lo siano in Italia, dove gli elettori da (ri)conquistare hanno un’età media ancora maggiore.

È semplice fare ironia su Liberi e Uguali, non solo insistendo sull’età dei protagonisti, ma anche sui loro trascorsi; con l’importante eccezione di Grasso, che fino a cinque anni fa faceva il magistrato, quello che accomuna D’Alema, Bersani, Civati, Speranza, Fassina e compagnia sono le sconfitte. È gente che ha perso quasi sempre e quasi tutto – a volte con onore, ma a sinistra “con onore” non significa poi molto, contano i risultati. Non parliamo soltanto di sconfitte elettorali (contro Berlusconi in parlamento, contro Renzi nel PD). Parliamo anche di sconfitte strategiche: D’Alema si fece prendere in giro da Berlusconi con la bicamerale del 1997, Bersani si fece prendere in giro dai grillini con il famoso vertice in streaming del 2013; anche Civati deve aver commesso qualche errore se nel 2010 era uno dei leader della Leopolda con Renzi e oggi non è nemmeno più nel PD. E così via. È semplice immaginare Liberi e Uguali come un raduno di rancorosi, ognuno a suo modo animato da un proposito di rivalsa, se non di vendetta. E le cose potrebbero anche essere così: alla fine la politica è fatta dagli uomini, e gli uomini sono fatti anche delle loro debolezze.

Allo stesso tempo, se insistiamo troppo sulle debolezze, rischiamo di perderci molto. Oltre alle mille motivazioni personali che possono spiegare la longevità di alcuni personaggi, alla base della nascita di Liberi e Uguali c’è un ragionamento lineare: a sinistra di Renzi c’è molto spazio da riempire. Quanto? Diamo un’occhiata agli altri Paesi dell’Europa occidentale. In Germania la Linke è quasi al 10% – molti voti li sta erodendo ai Socialdemocratici, che da più di dieci anni scontano l’alleanza elettorale con i Cristiano-Democratici della Merkel. In Francia il partito di sinistra di Mélenchon in Parlamento ha ottenuto appena il 3%: in compenso il suo leader col 19% di voti al primo turno ha mancato di appena due punti percentuali il ballottaggio presidenziale. In Gran Bretagna c’è un sistema elettorale molto diverso, che ha dissuaso la sinistra laburista da qualsiasi tentazione scissionista; il risultato però è che dopo tante sconfitte, oggi la sinistra controlla il partito. In Spagna il successo improvviso di Podemos (che nel 2016 valeva il 20% dell’elettorato) è un caso a parte, forse più affine all’affermazione altrettanto improvvisa del Movimento Cinque Stelle in Italia. In Grecia, anche grazie al super-premio elettorale, Syriza è al governo ormai da tre anni – tre anni di crisi nerissima in cui il primo ministro Alexis Tsipras non si è esattamente potuto permettere una politica antiliberista, ma tant’è. Syriza, per altro, è un bell’acronimo che nasconde all’osservatore distratto una tipica storia di frazionismo di sinistra: la sigla sta per “Coalizione della Sinistra Radicale”, e il suo percorso cominciò nel 2004 con una piattaforma programmatica che mise insieme cinque piccoli partiti marxisti, altermondialisti ed ecologisti.

Insomma, per quanto possano sembrare ridicoli e incerti i primi passi di Liberi e Uguali, bisogna riconoscere che anche le più recenti storie di successo della sinistra europea sono iniziate così: frammenti di esperienze passate che tornano assieme, trovano leader che a volte sono facce nuove (Tsipras, Iglesias) e altre volte decisamente no (Corbyn), e occupano uno spazio esistente. Perché – e questo va sempre ricordato – uno spazio a sinistra esiste ancora, e se non lo occupa Grasso lo occuperà qualcun altro. Anche Di Maio, perché no? Non è un caso che di recente abbia proposto di reintrodurre l’articolo 18. Non sarà l’argomento più trendy, ma c’è una fetta di elettorato che è sensibile esattamente a queste proposte: fanno meno notizia di due o tre bande di esaltati in bomber nero che lanciano fumogeni sotto le redazioni dei giornali o disturbano le assemblee, ma sono pur sempre due, tre, magari quattro milioni di potenziali elettori in più. E non si capisce nemmeno perché dovrebbero diminuire in futuro – soprattutto se il PD di Renzi si dovesse ritrovare costretto dopo le elezioni a un governo di coalizione col centrodestra di Berlusconi: proprio la situazione in cui di solito i voti travasano dal centrosinistra di governo alla sinistra di opposizione. Quanto allo scenario alternativo – un’eventuale alleanza di governo tra il M5S di Di Maio e LeU, fin qui sembra soltanto un bluff pre-tattico: difficilmente l’elettorato grillino potrebbe mandare giù la contiguità con personaggi che Beppegrillo.it addita al pubblico ludibrio da sempre (quando Bersani avverte di essere ancora disponibile allo streaming, rasenta il comico, non si sa quanto involontario). Allo stesso tempo, è bastato annunciare la nascita di un nuovo soggetto a sinistra perché l’articolo 18 tornasse un argomento elettorale anche per i grillini: la politica si fa anche così. Non sempre si vince, anzi, mai, ma a volte riesci a portare i vincitori nel tuo campo. Sarebbe già molto (per la sinistra italiana).
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Podemos e la generazione invisibile (in Italia)

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È normale che oggi la sinistra italiana guardi a Podemos, come era normale che guardasse a Syriza ieri; mi chiedo lo stesso se questo affannoso voltarsi qua e là in cerca di modelli vincenti non sia un equivoco. Ieri il futuro doveva arrivare dalla Grecia, oggi dalla Spagna; e se invece fosse già passato, e non ce ne fossimo accorti? Se Podemos e Syriza nascono a sinistra ma attraggono fette di elettorato diverse, profittando di un diffuso sentimento anti-austerity; se mettono in crisi il bipolarismo tradizionale, forse il Podemos italiano c’è già stato, e non è passato così inosservato: era il Movimento Cinque Stelle.

Certo, Grillo non è Iglesias. Il primo viene dalla tv e, moderno San Paolo, una volta convertito alla politica dal basso ha emesso una fatwa contro il satanico strumento che pure lo ha reso un volto noto a tutti. Il secondo viene da quella galassia dei movimenti che 14 anni fa protestava a Genova: ha scritto una tesi sui Disobbedienti e fatto un po’ di carriera accademica mentre si faceva conoscere come conduttore e opinionista in tv. Vista da qua la Spagna sembra un’oasi serena, dove l’accademia non è vista con sospetto, e la tv non seleziona urlatori ma leader intelligenti e affabili. E torniamo all’eterna domanda: cos’è andato storto da Genova in poi? se al governo c’è un venditore di pentole, e all’opposizione un vecchio comico stanco, sarà colpa di quei due o di un’intera generazione che in dieci anni non si è fatta viva con leader, con progetti, con qualcosa?
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Un'ipotesi sul renzismo

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(Riassunto: cosa c'è dietro il renzismo, questo misterioso fenomeno che nelle menti di molti nostri amici ha sovvertito alcuni concetti, ad es. la democrazia? Non si sa, però nel frattempo il berlusconismo è finito e non abbiamo elaborato nessun lutto. E se non fosse una coincidenza?)

La gente che dice di ricordarsi le cose, mente. I ricordi non sono come documenti crudi emersi da un archivio. Sono un continuo rimontaggio di frammenti che deformiamo a piacere in continuazione, qualcosa che reinventiamo tutti i giorni, adeguandola alle informazioni che abbiamo oggi, alle cose in cui crediamo adesso. Mai esattamente la vecchia canzone, sempre la cover della meteora del momento.

Ora dobbiamo raccontare a noi stessi come abbiamo passato gli ultimi vent'anni; e spiegare a noi stessi che non abbiamo perso tempo a paventare il golpe di un vecchietto sessuomane. Molti non ci riescono. Vent'anni, santo cielo. Possibile che non abbiamo parlato d'altro? Cosa ci era successo?

A questo punto scatta la reazione più inevitabile: il nostro io narrante, l'incessante cercatore di nessi causa-effetto, comincia a girare a vuoto e, non trovando nessuno più plausibile a cui dare la colpa, la rovescia su di sé. È colpa nostra. Lo avevamo scambiato per un gigante, e non capivamo che era un nano. Siamo stati noi a non volerlo sconfiggere. Sarebbe bastato così poco. Se Bertinotti nel '98 non avesse. E Turigliatto nel 2008. E Bersani. C'è tutta una serie di episodi che si inserisce perfettamente nella narrazione, che da cronaca politica diventa immediatamente apologo morale: Bertinotti nel '98 rappresenta l'anima massimalista coerente fino all'autolesionismo che è da reprimere in ciascuno di noi, ecc.. Turigliatto ne è una riedizione in sedicesimo, ma vi aggiunge un altro concetto importante: l'orrore per il diverso. Bertinotti era ancora parte di noi, Turigliatto il nostro amico che rifiutava di crescere, quello con cui dovevamo smettere anche solo di discutere, tempo perso. Da soli, possiamo andare solo da soli, in un posto che sappiamo solo noi. A sentirli parlare, sembra che Berlusconi non abbia governato per metà del tempo.

A questo punto tocca inserire qualche dato discordante, giusto per verificare se la storia non assume un senso diverso. È difficile negare l'impatto emotivo che ebbe nel 1998 la sfiducia a Prodi da parte della Rifondazione di Bertinotti. Quella sera si ruppero amicizie, un partito si spezzò in due cocci che non si sono mai più messi assieme. Ma emotività e frazionismo a parte, fu la fine del centrosinistra? No. Affondò al massimo l'Ulivo di Prodi, che avrebbe navigato comunque a vista fino ai bombardamenti in Serbia. Seguì D'Alema, e poi Amato. A questi governi si possono rimproverare molte cose (la mancata legge sul conflitto di interessi tra le prime), ma proseguirono un'operazione di risanamento e verso la fine avevano anche un tesoretto da reinvestire. La legislatura si spense al suo termine naturale, dopo cinque anni; poi rivinse Berlusconi, come spesso capita in democrazia.

Bertinotti nel '98 fece cadere un governo, ma non ci precipitò in nessun baratro. Berlusconi tornò al governo solo tre anni dopo, e non ci tornò perché il centrosinistra era litigioso e inconcludente. Ci tornò perché prometteva, come al solito, il bengodi, e molti italiani si dissero: proviamo, magari stavolta toglierà a qualcun altro per regalare a me. Prodi e Amato, in effetti, non regalavano quasi mai niente a nessuno. Berlusconi non tornò al potere per colpa di Bertinotti o per colpa nostra - a meno che tu che leggi non l'abbia votato nel 2001. L'hai votato? Io no, quindi perché mi dovrei sentire colpevole?

Perché se riconosco che sono innocente, devo poi accettare una verità un po' più dura, ovvero che sono impotente. Preferiamo vivere nel mondo magico della prima infanzia dove ogni avvenimento è connesso con i nostri desideri, che in un universo assurdo che può implodere in qualsiasi momento senza un motivo. La vittoria di Berlusconi nel 2001 era abbastanza ineluttabile: il naturale ritmo dell'alternanza, il logoramento dei partiti di governo, l'opacità del candidato rivale che pure era stato scelto belloccio e relativamente giovane. Ma con un po' di sforzo possiamo immaginare che sia stata invece colpa nostra. Eravamo litigiosi e disuniti e così vinse lui.

Cominciò una lunga traversata nel deserto. Cominciò nel peggiore dei modi - Genova - proseguì in modo abbastanza pirotecnico con l'11/9 e le manifestazioni antiguerra. Nel frattempo il governo tentava di sfondare sull'articolo 18, trasformando per qualche mese Sergio Cofferati nel leader della sinistra. Non funzionò, la guerra in Iraq monopolizzava il dibattito e a metà legislatura cominciò a esser chiaro che il governo sonnecchiava. Berlusconi non si faceva vedere per mesi e poi riemergeva con qualche ruga in meno e il parrucchino più basso. Nel frattempo la sinistra si riorganizzava intorno a Prodi e tutto lasciava pensare che nel 2006 il pendolo sarebbe tornato dalla nostra parte.

Non fu così.
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Parla per Piccolo

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Può darsi che a questo punto la vostra opinione sul Jobs Act - o sulla Buona Scuola - o su qualsiasi altra novità renziana - sia un po' negativa. Può darsi che certe promesse vi lascino perplessi, non solo perché sembrano irrealizzabili, ma perché sorrette da un'idea di società che non è la vostra. E quindi, insomma, credete di avere buoni motivi per non credere a quello che Renzi propone. Beh, vi sbagliate.

Non avete buoni motivi.

Quello che vi ispira a criticare Renzi - qualsiasi cosa dica o faccia - è semplicemente l'ossessione della purezza. A voi Renzi non va perché vi sentite di sinistra, e chi è di sinistra ha questa ossessione che lo spinge a stare da solo con chi la pensa come lui, e a raccogliere, se va bene, il 25% alle elezioni. È la stessa ossessione che vi spingeva in un angolo alle feste.
"Ma io veramente non ci stavo, nell'angolo".
Taci.
"No davvero a volte avrei preferito, perché negli angoli si pomiciava, ma di solito m'invitavano per mettere i dischi e così..."
Zitto. L'ossessione della purezza, dicevamo. Ne parlava giusto ieri, ovviamente, Francesco Piccolo; sul Corriere, ovviamente, della Sera:

La sinistra italiana degli ultimi venti, anzi trenta anni, è stata reazionaria e ha inseguito il mito della purezza, e cioè degli ideali da difendere senza nessuno sconto. Questi due elementi sono stati fondamentali per godere in modo masochistico del terzo, e cioè la propensione alla sconfitta. Soltanto con la sconfitta la purezza è difendibile, soltanto con la sconfitta non si mettono alla prova le idee e quindi si conservano intatte, come sotto i ghiacciai.

Ma quanto ha ragione, non trovate? Il mito della purezza. Quello che ha ispirato tutte le mosse degli ultimi, fallimentari, trent'anni.
"Per esempio?"
Ti devo pure fare degli esempi? E che ne so... Bersani.
"Bersani?"
Sì, Bersani, perché?
"Scusa ma Bersani poteva andare alle elezioni da solo nel novembre dell'Undici e invece ha fatto un governo di unità nazionale con Berlusconi, non mi sembra proprio un esempio così calzante di mito della purezza".
Vabbe' ma che c'entra, lì ce lo chiedeva l'Europa, ma in generale Bersani ha rappresentato quella frangia sconfittista del Pd che...
"Era ministro col Prodi II, hai presente?"
Embè?
"I ministri che sedevano allo stesso tavolo: Mastella, Di Pietro..."
Va bene, forse Bersani non è l'esempio migliore.
"Forse no".
Ma in generale devi ammettere che il mito della purezza è stato, come dice Piccolo, il punto di identificazione di...
"Fammi un altro esempio".
Boh, chi c'era prima di Bersani?
"Franceschini".
Ma che c'entra, Franceschini è mica uno di... di...
"Eh, appunto".
Cioè stiamo parlando degli ex comunisti, cosa c'entra Franceschini?
"C'è che gli ex comunisti se lo sono tenuto segretario per più d'un anno, forse non erano così succubi di un mito della purezza. O vuoi dire Veltroni?"
No, Veltroni no.
"Cioè hai presente cosa ha fatto Veltroni? Ha preso quel che restava del PCI e l'ha ibridato con quel che restava della DC. Non è proprio una cosa da mito della purezza".
Ma infatti, ti sto dicendo: Veltroni no.
"E allora di chi stiamo parlando, fammi un esempio".
Cheppalle con questi esempi, eh.
"Fassino? Prima di Veltroni c'era Fassino".
Ma no...
"Sennò D'Alema".
Ecco, D'Alema.
"Il mito della purezza, Massimo D'Alema".
Precisamente.
"Ma stai bene?"
Benone, sei tu che ti rifiuti di ammettere che coltivavi il mito della purezza e stavi negli angoli delle feste.
"Senti, io non so a che feste andavi tu con Piccolo, ma alle mie ci si divertiva tendenzialmente più agli angoli, e in ogni caso mi stai dicendo davvero che la carriera di Massimo D'Alema è stata ispirata al mito della purezza e della sconfitta salvifica?"
Perché? Non è così?
"Non so, dimmelo tu, stiamo parlando del tizio che ha appoggiato la candidatura di Romano Prodi. Cioè lui era segretario del Partito Democratico della Sinistra, e pur di spuntarla contro Berlusconi è andato a pescarsi un boiardo di Stato di area DC. Che per carità, eh, gran trovata, però: sei proprio sicuro che lo abbia fatto perché ispirato dal mito della purezza?"
Magari in quel caso no.
"Magari no".
Però poi appena ha potuto gli ha fatto le scarpe, a Prodi, ti ricordi?
"Come no, mi ricordo benissimo, il '98".
Lo vedi? Prima o poi il mito della purezza spunta fuori.
"Nel '98, D'Alema, pur di andare a Palazzo Chigi, sai con chi fece l'accordo?"
Ahem...
"Dai che lo sai"
C'era Mastella forse... ma questo non toglie che...
"Con Francesco Cossiga".
E vabbe'.
"Era così sconfittista che pur di vincere le elezioni appoggiò Prodi. Così duro e puro che pur di restare in sella imbarcò Cossiga". 
Va bene, va bene, ho capito.
"Ma te lo ricordi quando faceva gli occhi dolci a Bossi? Massimo MitoDellaPurezza D'Alema che diceva che la lega era una costola della sinistra? Te lo ricordi?" 
Ho capito, ti ho detto che ho capito, D'Alema non è l'esempio migliore.
"E a questo punto mi sa che i vent'anni li abbiamo coperti... a meno che..."
A meno che cosa?
"C'è Occhetto".
Ah, ecco Occhetto, certo.
"Il mito della purezza".
Sì. E lo si vide bene, quando la sua gloriosa macchina da guerra s'infranse contro...
"Tu sei scemo".
Ma come ti permetti.
"Scusa, ma te lo ricordi Occhetto?"
Benissimo. È stato l'ultimo segretario del...
"Partito Comunista Italiano. Quello di Gramsci, di Longo e Berlinguer. Poi arriva Occhetto ed è così pervaso da questa voglia di sconfitte salvifiche e di purezza comunista che DECIDE DI CAMBIARE IL NOME AL PARTITO".
Ah, già, il nome, beh, però...
"Però niente, dai. È una cazzata".
Chi c'era prima di Occhetto?
"Natta".
Ecco, magari Natta.
"Faccio finta di non sentirti. Senti, non so esattamente dov'eri tu o dov'era Piccolo, ma negli ultimi trent'anni che ho vissuto io il principale partito di sinistra le ha provate tutte pur di vincere, altro che sconfitta salvifica. Abbiamo provato la quercia e non funzionava e allora abbiamo provato l'ulivo ma non funzionava, e allora abbiamo provato Kennedy e Don Milani, la bocciofila e infine i rottamatori, le abbiamo provate veramente tutte. Quattro nomi abbiamo cambiato. Cossiga, Mastella, per tacere di quelli che mettemmo in lista nel primo PD, te la ricordi la Binetti? Ci abbiamo fatto un partito assieme, la Binetti! ti rendi conto quanto poco freghi della purezza a noi?"
Ma forse...
"Forse niente. Ora ti dirò un ultimo nome, un nome che chiude la questione. Ti ricordi chi candidammo a inizio secolo? Quello che abbiamo votato perché lo volevamo a Palazzo Chigi, te lo ricordi?"
No, è strano, non me lo ricordo.
"Francesco Rutelli".
Stai scherzando.
"Googla pure se non ci credi. Negli ultimi trent'anni siamo stati le peggio puttane del mondo, senza offesa per le sex workers oneste, capisci? Se qualche sondaggio avesse dato Pietro Maso vincente contro Berlusconi, credi che non l'avremmo candidato? O Pacciani? O Vlad l'Impalatore? Credi che D'Alema non gli avrebbe mandato un bigliettino, Vlad, pensaci, solo tu puoi salvarci? E adesso arriva Piccolo e dice... cosa dice?

Per essere di sinistra bisognerebbe essere progressisti, bisognerebbe accogliere il presente e avere voglia di prendersi la responsabilità di guidare il Paese — e questo comporta sia cadere in errore sia collaborare con chi ci sta. Di conseguenza, per essere di sinistra, bisognerebbe non essere come è stata la sinistra negli ultimi 30 anni.

"No vabbe', dai, ma è roba da Corriere. È come Panebianco ormai. Lo sai cos'hanno trovato in Egitto di recente?"
In Egitto?
"Hanno decifrato i geroglifici di una stele appena dissepolta, secondo millennio avanti Cristo, pare sia un editoriale di Panebianco che accusa la sinistra per le invasioni dei popoli del Mare". 
La sinistra?
"C'è scritto così, e che finché la sinistra non saprà fare i conti col proprio passato e con le proprie responsabilità ci saranno inondazioni piogge di rane e cavallette. A me dispiace che Piccolo si sia messo a scrivere roba così".
Lui scrive molto meglio, dai.
"Per carità, lui è bravissimo, poi funziona anche meglio perché ci si mette in mezzo, scrive questi autodafè molto carini... però a un certo punto non ti viene voglia di dirgli: parla per te, Francesco Piccolo?" 
In che senso?
"Nel senso che non siamo mica *tutti* diventati comunisti per dar fastidio a nostro padre. Anzi se vai a vedere in Emilia o in Toscana, è tutta gente che diventava comunista per fargli piacere, a papà. Tutta gente che sperava di sistemarsi col cursus honorum, a sedici anni in Figgicì poi in sezione poi in giunta e poi finalmente a cinquant'anni nelle municipalizzate a intascare like a boss. Guarda che se fai leggere Il desiderio di essere tutti a un modenese, lui ti dice che sembra il Piccolo Principe, cioè non è che "TUTTI" hanno preso la tessera del PCI per sentirsi duri e puri. Magari poteva andare così in posti come Caserta, ma non è che TUTTI si siano iscritti a Caserta. Fidati che a Reggio Nell'Emilia non andava così. Non è mai andata così. I duri e puri andavano da qualsiasi altra parte..."
Ma infatti forse Piccolo non intendeva il PCI-PDS-DS-PD.
"E allora cosa?"
Forse intendeva la sinistra-sinistra, quelli lì, Bertinotti, Vendola...
"Vendola pur di provare a stare in un governo è uscito da Rifondazione, ha fondato un partito, ha imbarcato pure quattro gatti di ambientalisti nel mentre che in Puglia i sindacalisti cercavano di fargli tenere aperta l'Ilva, devo continuare?"
Va bene, Vendola no, ma Bertinotti...
"Ma l'hai capito che se c'è un'ossessione nella sinistra italiana, e io credo che ci sia, non è la purezza ma l'esatto contrario? L'ibridazione, la contaminazione? Cioè hai presente i duri e puri che Vendola mollò, poi, chi sostennero alle elezioni due anni fa? Antonio Ingroia? Cioè te li immagini questi svezzati a Gramsci Togliatti e Longo che poi si ritrovano Ingroia? o la Spinelli? Eddai".
Ammetti però che Bertinotti...
"Quale Bertinotti?"
Fai il furbo?
"No, sul serio, quale? Perché quello del '98, in effetti, si presta alla narrazione che ci costruisce intorno Piccolo. E infatti si ricordano tutti quel Bertinotti lì".
C'è n'è un altro?
"Ma per esempio c'è quello che si cosparge di cenere ed entra nell'Ulivo e si ritrova al governo nel 2006. Non un appoggio esterno, come dieci anni prima: al governo".
Sì, però poi lo fa cadere.
"No. Fu Mastella".
Eddai, se non fosse stato Mastella...
"Ma ti rendi conto cosa fecero i rifondaroli nel 2006-7? Votarono per il rifinanziamento della missione in Afghanistan - tranne due. Tranne due. Cioè pur di restarci, in quel governo che già traballava tantissimo di suo, arrivarono a sostenere una missione Nato. E tu mi racconti dell'ossessione della purezza. Ma parlami di Cicciolina, piuttosto, parlami della sua, di ossessione per la purezza". 
Ma che c'entra, lei era radicale.
"È un modo di dire. E sai qual è la cosa divertente? Che il Bertinotti sconfittista e ossessionato dalla purezza del '98, poi alle elezioni prese un dignitosissimo cinque per cento. Mentre il Bertinotti collaborativo del 2006, il Bertinotti disponibile a calar le braghe, due anni dopo..."
...scomparve dal parlamento.
"E quindi insomma hai voglia a dire che l'ossessione della purezza non paga. A me poi per carità, mescolarmi piace. Ho votato Rutelli, ho votato Renzi, secondo me a un certo punto stavo anche per votare Casini. La politica è così".
Ti trova strani compagni di letto.
"A me va bene, mi piace discutere, scambiare opinioni, mettere sui dischi, stare nel mezzo della festa. Basta che non mi raccontiate che negli angoli ci stiano gli sfigati duri-e-puri. Negli angoli ci si droga, ci si struscia, negli angoli ci sta gente che si diverte".
Magari sono meno responsabili di noi.
"Se la cosa ti consola".
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La Sinistra Intestinale Autonoma

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Una mattina, svegliandosi da sogni contrastanti, il compagno K. si sentì confuso. Il suo stesso corpo gli mandava segni contraddittori: una curiosa sensazione di leggerezza, mai sperimentata prima, si sovrapponeva a un inquietante peso sullo stomaco. La penombra della stanza era rischiarata dal telefono che vibrava in silenzio.
"Che mi sia trasformato in un enorme coleottero?", pensò, e si sorprese nel soggiungere: "Magari". Il telefono insisteva, qualcuno lo stava cercando, probabilmente per litigare. Di lì a poco sarebbe comunque scattato il messaggio della segreteria...
"Pronto, siete in linea con la direzione del Nuovo Partito di Unità Socialista e Ambientalista, lasciate il vostro messaggio dopo il bip".
"Porcaputtana K stacca quella segreteria! Ti devo parlare subito! È importante!"
"Ulrich? Sei tu? Non dovresti chiamarmi, lo sai che siamo ancora in causa per l'attribuzione della sede e..."
"Lascia perdere queste cazzate. Hai visto Tonio ieri sera?"
"Uh, può darsi".
"Lo hai visto o no?"
"Chi lo vuole sapere? Il mio amico Ulrich o il dirigente di zona di Sinistra Unitaria Democratica Ambientalista?"
"Ancora con 'sta storia... non c'è più il SUDA".
"Ah no?"
"Ci siamo sciolti un mese fa".
"Cazzo mi dispiace. E Lotte?"
"Se n'è andata con i Nuovi Comunisti Unitari".
"Uh che brutta gente".
"Ma no, perché, sono due tipi a posto. Stanno in un villino sui viali, hanno anche un cane, un cocker, mi sembra".
"I comunisti unitari?"
"I Nuovi Comunisti Unitari. Tu stai pensando alle Cellule Comuniste Unitarie di tre anni fa, quelli a cui sequestrarono il furgone in Val di Non con le molotov".
"Quelli, giusto, sì, che fine han fatto poi?"
"Non li ha più visti nessuno, in quei boschi non prende il gps".
"Magari si sono radicati nel territorio".
"Seh, certo. Ma insomma Tonio l'hai visto o no?"
"Come faccio a dirtelo... Non so nemmeno in che partito tu militi in questo momento".
"Sono tornato all'ovile".
"Rifondazione Unitaria? Ma non si era sciolta?"
"Nuova Rifondazione Unitaria".
"Avete rifondato la rifondazione?"
"Ci siamo rimessi assieme, è finito il tempo delle scissioni".
"Vi siete rimessi assieme in quanti?"
"Per adesso siamo io, Agatha e Karl..."
"È per questo che stai cercando Tonio? Stai cercando di fottermi il tesoriere?"
"Perdio, K, ma tesoriere di cosa, si può sapere? Il tuo partito ha la sede legale nella tua cameretta in casa dei tuoi, il vostro organo di stampa è un blog che non aggiornate dal 2017..."
"Voi invece ce l'avete, un organo?"
"Senti, non è come tu pensi. Non ti voglio fottere Tonio. È una questione privata".
"Il privato è..."
"...un casino. Agatha è incinta".
"Uh, complimenti!"
"Non stiamo più assieme da sei mesi".
"Sei mesi... vuoi dire il congresso della Sinistra Unita? Vi siete divisi lì?"
"Sintomatico, vero? Lei andò coi comunisti democratici, io rimasi con quella frangia della Sinistra Unitaria che poi si spezzò subito dopo".
"E Tonio cosa c'entra?"
"Tonio e Agatha stanno assieme".
"Questo è impossibile".
"Lo sanno tutti, K., dai".
"Tutti chi?"
"Ma ci vai su facebook ogni tanto?"
"Ho l'account del partito, vedo solo l'attività degli iscritti".
"Cioè non vedi più niente, ci hai fatto caso? Quanti siete rimasti?"
"Quanti? Beh, non devo dirlo a te, comunque Tonio risulta ancora fidanzato con Ines".
"Non posso crederci".
"Come no? Noi del Nuovo Partito di Unità Socialista e Ambientalista siamo persone serie, se ci impegniamo in una relazione..."
"Ines è una spia".
"Eh?"
"E una trotschista della sesta internazionale, il suo vero nome è Else, si era infiltrata da voi per mettervi contro ai Comunisti Ambientalisti Zona Nord Italia".
"I CAZoNI? Non ho niente contro i CAZoNI, sono simpatici, mi invitano sempre su in collina a Natale a festeggiare il sol dell'avvenire..."
"In effetti la missione è fallita e adesso lei si sta riciclando coi Socialisti Unitari Libertà Ecologia Autonomia Duemila".
"Quelli invece sono delle merde, mi devono ancora i soldi della corriera per la manifestazione in Val di Ma. Comunque non ti credo. Ines è una grande compagna, leale e..."
"Si chiama Else. Ci sei andato a letto anche tu?"
"Quando si è uniti nella lotta queste cose succedono".
"Vai tranquillo, quella si è fatta mezza sinistra extraparlamentare in città".
"Stiamo comunque parlando di..."
"Di mezza dozzina di persone, sì, più o meno".
"Quindi Ines..."
"Si chiama Else".
"...Non è più nel mio partito?"
"Non credo, no. i Socialisti Unitari Libertà Ecologia Autonomia Duemila le hanno promesso un posto in lista per il consiglio di circoscrizione, avrà voglia di sistemarsi nelle istituzioni".
"Questo è orribile!"
"Ma dai, comincia ad andare per i trentacinque, non è che puoi restare trotschista tutta la vita, prima o poi ti infiltri nella fessura giusta e..."
"Ulrich, non hai capito. Se Ines se n'è andata..."
"Else".
"Siamo rimasti solo io e Tonio nel partito".
"Sul serio?"
"Ma ieri sera io e Tonio..."
"Mi stai dicendo questo? Siamo arrivati a questo?"
"Abbiamo litigato... sull'opportunità di fare o no una lista comune coi CAZoNI... lui ha sbattuto la porta, ha svegliato mia madre e..."
"Fermo. Resta fermo. Potrebbe essere più grave di quel che sembra".
"Vuoi dire che sta succedendo a me? Proprio a me?"
"Come ti senti in questo momento?"
"Strano. Mi sento molto strano. Leggero e... pesante".
"Respira lentamente".
"In effetti faccio un po' fatica, c'è qualcosa che mi opprime".
"Non accendere la luce! Aspetta".
"Sul serio sta succedendo a me? La Singolarità?"
"Prima o poi sarebbe successo, K. Quando ero nel SUDA temevo che potesse capitare a me. Negli ultimi anni le tendenze scissionistiche che devastano la sinistra italiana hanno superato il punto di non ritorno. Era solo una questione di mesi prima che succedesse..."
"Ma perché proprio a me?"
"Tu sei solo il primo. Il primo partito politico a coincidere con una sola persona. In un certo senso sei una nuova specie vivente, un passo avanti nell'evoluzione".
"Non mi sento affatto bene, Ulri".
"Cerca di vedere le cose in un modo positivo. Non ti senti finalmente... unitario? Ora non devi più lottare per condividere le tue idee. Niente più lotte intestine. Puoi farti tutti i congressi che vuoi, senza aspettare il numero legale".
"Ulri, non respiro".
"Tieni duro".
"Io adesso accendo la luce".
"Non lo so, non mi sembra una buona idea".
"Che cosa potrebbe essermi successo?"
"Non lo so, K., non lo so. Qualcosa che non è ancora successa a nessuno".
"Addio Ulri".
"No, aspetta, K., sto arrivando, io..."
Clic.

Contò fino a tre. Quattro volte. Per un attimo che gli sembrò lunghissimo, non respirò più. E poi accese.
Quello che vide davanti a sé, non l'aveva mai visto realmente. Davanti ai suoi occhi ancora storditi dal sonno, c'era il suo culo.

Il suo culo si era separato dal tronco, si era seduto sulla sua pancia, e meditava sul da farsi.

"Torna con me", bisbigliò K. "Possiamo fare ancora tante cose assieme. Dobbiamo... dobbiamo guardare a ciò che ci unisce, non a ciò..."
Una lungo peto troncò la discussione, annunciando nel contempo la nascita del Partito della Rinascita Intestinale Autonoma Popolare (PRIAP).
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Twitter ha fatto fuori Bersani?

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Il tacchino e i passerotti

Ma sul serio Twitter può aver fatto fuori Bersani? No, sul serio no.

In un certo senso Pier Luigi Bersani non era più segretario del PD già da qualche settimana, anche se la situazione non gli consentiva di cedere un posto in cui, peraltro, nessuno in questi giorni vorrebbe sedersi. In un certo senso il Pd è già finito a febbraio, abbiamo avuto il tempo per elaborare il lutto. Dopo la sconfitta elettorale Bersani più che segretario era diventato curatore fallimentare, con l'incarico di verificare due possibilità: un accordo col M5S (mandato a monte in una storica e avvilente diretta in streaming), e un compromesso più o meno onorevole col PDL. Quest'ultima possibilità richiedeva l'elezione di una persona non sgradita a Berlusconi; l'accordo quindi era possibile, ma a quel punto qualcuno ha detto no. Cioè, molti hanno detto di no. E pare che l'abbiano detto su Twitter (e su Facebook, certo).

Il primo a scriverlo, con tutte le sue tipiche cautele, è stato Luca Sofri: il modo in cui si è arrivati al boicottaggio di Marini, con i Grandi Elettori terrorizzati da quello che leggevano sui loro feed, è qualcosa di nuovo, che nel mondo pre-social-network non avremmo visto. Poi la discussione si è ampliata, ma nel frattempo pare che Bruno Vespa abbia accusato i Grandi Elettori di essere "tutti prigionieri di questo oggetto qua", indicando un Ipad; Ferrara ha proposto di censurare tutto quanto ecc. ecc. Insomma l'argomento è diventato mainstream, ne parla anche chi non sa bene di cosa si tratti. Non è la solita proiezione autoreferenziale dei venticinque sciroccati che senza i social non saprebbero nemmeno se fuori piove o cosa c'è in tv (presente). Pare che Twitter sia diventato importante. E non ha nessuna importanza che lo spaccato di società che offre ai suoi utenti non sia in nessun modo significativo; basta che ne siano convinti i grandi elettori mentre scrollano i loro iPad.

Può darsi che Twitter abbia funzionato proprio perché, paradossalmente, è ancora uno strumento poco diffuso in Italia, poco rappresentativo, poco penetrante; se nei feed ci fosse realmente tutto il Paese reale, la campagna #RodotàPerchéNo scomparirebbe come una goccia nel mare. Ma Twitter non è ancora un mare, è una pozza dove pastura qualche migliaio di utenti a cui è toccata quasi in sorte quella che una volta chiamavamo egemonia culturale. Come i cinquantamila fortunelli che hanno il diritto di decidere il candidato M5S per tutti gli otto milioni di elettori M5S: non ha nessuna importanza che siano così pochi, l'importante è che tutti si convincano che la scelta è stata condivisa con "la gente". Allo stesso modo in cui lo streaming non serve a rendere davvero trasparenti le decisioni, ma a fornire un simbolo di trasparenza. Magari quando tra sette anni si rieleggerà un presidente sarà tutto diverso, magari l'idea di considerare rilevante il flusso di emozioni di qualche migliaio di follower ci sembrerà di nuovo fuori dal mondo. Oppure sarà il concetto stesso di elezione indiretta del presidente della repubblica a sembrarci fuori del mondo: saremo troppo abituati a esprimere giudizi e condividerli continuamente per sopportare che un Presidente venga espresso da intermediari. Ma sarà già una gran cosa arrivarci, nel 2020.

Già da ieri Bersani era stato sostanzialmente sostituito da un'intelligenza collettiva che aveva deciso di bocciare qualsiasi ipotesi collaborazionista con il PdL esprimendo il candidato meno gradito a Berlusconi: Romano Prodi. Si è visto nell'occasione quanto fosse intelligente l'intelligenza, e quanto fosse collettiva la collettività. A questo punto francamente non so cosa succederà, però tutto sommato non mi sembra che la situazione sia tragica: Rodotà, la Cancellieri, perfino D'Alema, sono ancora buoni nomi; rammento quando nella stessa aula si contavano le schede di Forlani o Andreotti, direi che un progresso c'è. Mi dispiace per Bersani, che paga per errori non solo suoi, per Prodi che aveva il curriculum migliore, e un po' meno per il PD, che si è dimostrato sterile come molti ibridi. Avrei preferito che Bersani curasse il fallimento ancora un po', lasciando ad altri il tempo per mettere in piede qualcosa di nuovo e più credibile. Invece adesso diventa tutto più caotico e con gli anni il caos mi piace sempre meno.

Per esempio, in questi giorni mi sembrate tutti incazzati, eccitati. Stracciate tessere, scrivete "mai più", scommettete, litigate, ecc.. Non è che io non capisca tutto questo - e se devo essere onesto sono preoccupato anch'io. Però non ho tutta questa voglia di tifare. Anche l'altra sera, forse qualcuno si aspettava un proclama "mai con Marini", "no all'inciucio" e tutta questa serie di cose. Io in realtà l'ho scritto, che se fosse stato per me avrei preferito Rodotà; ma l'ho scritto in piccolo, in un inciso, perché le mie preferenze in un'elezione indiretta sono abbastanza secondarie. È che in questi giorni tutti tifano, e io non ho nulla contro chi tifa, ma non ho molta voglia. È proprio un atteggiamento: quando tutti fanno una cosa, a me passa la voglia di farla. Questo non mi rende la persona più simpatica al mondo, ma credo sia il motivo per cui questo blog qualche volta (qualche volta) è interessante: se volete qualcuno che scriva semplicemente "votiamo Rodotà!" "No all'inciucio", là fuori è pieno. Sul serio, ce n'è di molto bravi, non avrebbe neanche senso gareggiare.
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Elogio del suicidio assistito

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Sei appeso a un cornicione, due persone si sporgono per darti una mano. Il primo è un ladro, lo conosci benissimo, ti ha fregato tante volte. Il secondo non crede alla teoria della gravitazione universale, pensa che sia un complotto massonico...

La questione è tanto semplice da formulare quanto difficile da risolvere: l'Italia ha bisogno di un governo, i tre partiti che hanno pareggiato le elezioni no. Non conviene al M5S sporcarsi le mani e scoprire i suoi bluff; non conviene al PdL consentire ad altre Larghe Intese che con Monti hanno già alienato molti elettori; e non conviene al PD allearsi a Berlusconi. Però si deve formare un governo, anche se qualsiasi governo sarà disastroso per i partiti che acconsentiranno a partecipare e suicida per il leader che ci metterà la faccia. Proprio per questo motivo il candidato più probabile sin dal 26 febbraio era il PD di Pier Luigi Bersani.

Non perché abbia vinto le elezioni - non le ha vinte - ma perché è l'unico dei tre che quando le cose si mettono male ha dimostrato di essere in grado di anteporre l'interesse della collettività al proprio. Lo si è già visto quando, nell'autunno del 2011, in un momento così complicato per i conti pubblici Bersani decise di sostenere un governo Monti invece di andare alle elezioni e (a detta di tanti osservatori che non potranno mai essere smentiti) vincerle. Non gli interessava vincere e governare sulle macerie, disse, e quindi non vinse né allora né poi.

Se ora propone un governo di scopo o di vivacchiamento col PdL - e non ci sono molte alternative - Bersani si suicida: probabilmente lo sa, ma sa anche di non avere molte speranze di vita comunque. La sua parabola politica è in ogni caso al culmine; tra qualche mese ci sarà un congresso e difficilmente lo confermerà; se poi si facessero altre primarie, è implausibile immaginarlo non dico vincente ma persino candidato.

Paradossalmente, Bersani a questo punto è più leggero. Proprio perché il partito non è più il suo, può giocarselo; non ci perde niente e tutto sommato non ci perdiamo molto neanche noi: è un partito che dalla sua fondazione nel 2007 a oggi ha sostanzialmente fallito tutti gli obiettivi a livello nazionale. Mi può costare un po' di fatica ammetterlo, non mi piacciono i partiti che cambiano nomi come le squadre di calcio a ogni turno di sponsor. Per deformazione professionale preferisco i partiti con un lungo passato alle spalle, ma a ben vedere il PD non lo è. È un partito nato pochi anni fa da un'intuizione o da un calcolo che si sono rivelati - facile dirlo col senno del poi, ma comunque va detto - sbagliati. Si sperava di conquistare il cuore del Paese o almeno tenersi un buon 40%, siamo invece ancorati al 25% qualsiasi cosa tentiamo di fare. Non riusciamo a essere di sinistra e cattolici assieme, non ci riusciamo perché il filone del cattolicesimo di sinistra si è sostanzialmente esaurito: è un processo più vasto di noi, a cui avremmo dovuto prestare più attenzione.
Molti dei padri fondatori invece di diventare nomi nobili sono additati al pubblico ludibrio - a torto o a ragione, inutile discuterne, è andata così: c'è un solido blocco in Italia che piuttosto di votare per un centrosinistra europeo è disposto a votare per i batteri del calcare, alcuni dei quali hanno effettivamente partecipato alle parlamentarie di Grillo e Casaleggio. A questo punto un partito di centrosinistra in Italia è da rifondare da capo, meglio senza ancoraggi biografici a quel PCI che ancora tormenta i sonni di una fetta consistente degli elettori italiani. È una cosa che va fatta, prima che ci pensi Renzi, salvo che probabilmente Renzi ci pensa da mesi e quindi la farà lui. Nel frattempo, tanto vale tenersi quel che resta del PD al governo, una specie di bad company del consenso.

Un mese fa, a urne appena aperte, qualcuno aveva già iniziato a chiedere le dimissioni di Bersani e la relativa immancabile sessione di autocritica sugli errori del PD. Il fatto che io nel mio piccolo non abbia voluto partecipare non significa che errori non ce ne siano stati e che un'autocritica non sia opportuna. Il punto è che quello che abbiamo perso il 26 febbraio è qualcosa di lievemente più grave che una leadership di partito: secondo me il partito non ha più possibilità di risollevarsi da una batosta così. Anche l'automatica reazione dei sostenitori di Renzi, per quanto comprensibile, non ha molto senso: se il PD è il partito delle primarie, che ha espresso il suo candidato alle primarie, e se questo candidato è piaciuto così poco agli elettori, forse il problema non è soltanto Bersani. Forse vanno ripensate anche le primarie, perché non hanno mai espresso un candidato in grado di vincere le elezioni - e non si vede come possano riuscirci in futuro. Chiedere le dimissioni di Bersani implica che ci sia ancora qualcosa da cui ci si può dimettere: per me semplicemente non c'è, il PD è nei fatti finito.

Bersani, ho sentito dire da molti, ha fallito la campagna elettorale perché non ha saputo incantare gli italiani. Si è ostinato a dir loro la verità e la verità non è una cosa che ti fa vincere le elezioni. Può darsi che abbiano ragione, però alla fine qualcuno che dica un po' di verità ci deve pur essere. Non possono tutti dire che si possono rendere i soldi delle tasse e non pagare più i debiti. Anche adesso, mentre la situazione comincia a farsi pesante, Berlusconi ha soprattutto in mente i suoi processi, Grillo è su qualche auto a idrogeno sospesa nel blu del cyberspazio, Bersani è sulla stessa terra su cui camminiamo noi. Dovrà fare concessioni disonorevoli, potrà fare qualche riforma sensata di cui anche stavolta gli disconosceranno il merito, ma alla fine non ci resta che lui, e a lui non resta che suicidarsi così. Se poi trovasse qualche altro "tecnico" da mandare al suo posto andrebbe bene lo stesso, ma non si vede chi e per quale motivo gli converrebbe. È un lavoro impossibile, i margini di successo sono ristrettissimi, se non ce la fai sei morto e se ce la fai sei morto comunque. È un lavoro per Pier Luigi Bersani.
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Voglia di votare Santanchè

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Mi ha lasciato un po' perplesso lo sdegno unanime suscitato qualche giorno fa da Paolo Flores d'Arcais. Intendiamoci, trovo anch'io molto irritante la posizione dello stimato professore che decide di votare Renzi alle primarie e poi Grillo alle legislative, non perché si fidi di nessuno dei due, ma viceversa sperando che in questo modo vada tutto a rotoli a cominciare dal PD (il voto a Renzi lo "disperderebbe come un sacchetto di coriandoli"). Lo trovo un esempio perfetto di quella concezione del Tanto Meglio Tanto Peggio che secondo me è stato il vero nemico interno della sinistra italiana, forse più micidiale di Berlusconi: l'impulso all'autodistruzione che scatta ogni volta che ci accorgiamo che il partito o la coalizione che ci rappresenta non è il migliore dei partiti o delle coalizioni possibili, e allora? E allora bisogna spaccare tutto, far cadere il governo se siamo al governo noi (Bertinotti, D'Alema), fonderci con qualsiasi cosa ci sia alla nostra destra, Rutelli, Calearo, gli acari della polvere (Veltroni). Leggendo qualche riga in più si scopre che Flores d'Arcais ce l'ha ormai con chiunque abbia provato a fare politica a sinistra: "Pd, ma anche Idv, Sel e residui rifondazionisti", in pratica chiunque si sia candidato è diventato in breve "nomenklatura partitocratica", non si salva più niente.

Questa voglia di tabula rasa che ci assale ogni due o tre anni, sempre alla ricerca di una formula diversa, di una quadra nuova (poi ti accorgi che stanno riciclando Blair per la terza volta) è così diffusa, così metabolizzata, che Renzi può imbastirci sopra una campagna. L'insofferenza di Flores d'Arcais per il PD è a ben vedere più antica del PD stesso, e forse meriterebbe di essere rottamata per prima. Però.

Però cento volte meglio Flores D'Arcais, che annuncia che voterà Renzi anche se non sopporta Renzi, e Grillo anche se non ha particolare stima per Grillo; cento volte meglio lui che ha capito che il voto è un gioco (non molto divertente, ma è un gioco), in cui si può talvolta giocare di sponda, scegliendo x per ottenere y. Cento volte meglio lui di tutti i puristi del voto, quelli che vogliono solo x, e finché non ottengono x si rifiutano di votare qualsiasi cosa non sia assolutamente corrispondente a x. Meglio un machiavellismo sbilenco, il finto "cinismo costituzionale" per cui la combinazione Renzi+Grillo dovrebbe far saltare qualche sigillo dell'apocalisse, piuttosto che l'eterna lagna di quelli che Renzi no perché non è abbastanza di sinistra, Bersani no perché è di sinistra ma apparato, Vendola no perché è velleitario, Puppato no, Tabacci no, no, no, no. Viva Flores D'Arcais che almeno ha capito che il voto non è una questione d'identità, non è una liturgia in cui si proclama la propria consustanzialità con il candidato, e che si può votare Renzi anche se non si crede del tutto in lui, o anche se francamente lo si detesta. Viva Flores e abbasso le verginelle che nel segreto dell'urna assolutamente non possono cedere a nessun compromesso perché, boh, si vede che Dio le vede. Io penso che Dio abbia di meglio da fare che spiarmi proprio lì; del resto cedo a compromessi praticamente tutti i giorni, vendo pezzi del mio corpo un tot all'ora, voi no? Beati voi.

Io son flessibile, anche se a Ichino piacerebbe flettermi un po' di più ma non si può aver tutto; reclamo perciò il diritto di infilarmi in qualsiasi fessura mi consenta di difendere i miei diritti (legalmente, si capisce), e a tal proposito annuncio che se faranno sul serio le primarie del centrodestra, e le faranno con regole simili a quelle del centrosinistra, ci andrò. E vorrei proprio vedere chi mi tiene fuori, e con che motivazioni. Perché non dovrei dire la mia? Perché dovrei rinunciare, a priori, alla possibilità di votare il PdL? Mettiamo che non mi piaccia il candidato che esce dalle primarie del PD; mettiamo che, per qualsiasi motivo, il PdL me ne proponga uno più interessante, o viceversa talmente scrauso da assicurare l'autogol decisivo: mettiamo che io faccia un calcolo, magari meno raffinato di quello del professor Flores D'Arcais, e che questo calcolo mi dica che la candidatura di Daniela Santanchè può davvero rendere l'Italia un posto migliore: a quel punto recarmi alle primarie del PdL e votare Santanchè diventa per me un dovere civico, una cosa che potrei persino rimproverarmi di non aver fatto. Tra l'altro pare che la Santanchè si stia avvalendo dei consigli di Rondolino, l'uomo che (IRONIA) rese simpatico Massimo D'Alema (/IRONIA). Ecco, a un team del genere mi sembra impossibile non augurare una carriera di successi al vertice del principale partito di centrodestra, previo sbaragliamento di tutti i candidati più credibili. Se in questo battaglia serve il mio voto, eccolo, è qui, ma ve lo porto dovunque serva. Mi date l'indirizzo e mi arrangio, faccio anche il quarto d'ora di fila, ci ho resistenza.
Son mica renziano.
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Lettera a un giovane ichino

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Caro giovane disoccupato, oppure lavoratore, e quindi sicuramente precario. Caro giovane di sinistra, o di destra, o di nessuno, o del migliore offerente.

Tu che su facebook scrivi almeno una volta al giorno che il sindacato non ti rappresenta; che il PD è un partito di pensionati per i pensionati; che l'articolo 18 è un arnese fuori dal tempo che ti opprime; tu che tra le caste che soggiogano questa povera Italia non ti stanchi mai di ricordare la più odiosa, quella dei dipendenti a tempo indeterminato illicenziabili; tu che non ti perdi un'intervista a Pietro Ichino e me ne aggiorni su twitter; caro giovane disoccupato o precario:

volevo dirti che in linea di massima hai ragione.

Il sindacato davvero non ti rappresenta – del resto dovrebbe? Non sei iscritto. Il sindacato non è un ente benefico che lotta per un mondo migliore: è un'associazione che tutela i diritti dei suoi tesserati. Il PD è davvero un partito di pensionati, anzi ha il suo daffare a tenersi buono lo zoccolo molle di anziani che rimane fondamentale in vista delle elezioni dell'anno prossimo. E quindi, insomma, ti resta Pietro Ichino. Ti ha spiegato che in Italia c'è un recinto di lavoratori tutelati (pochi) e una prateria di precari e disoccupati, e la sua proposta è più o meno: aboliamo il recinto. Dopo ci sarà più lavoro per tutti e anche più diritti, sì, per tutti. Sto semplificando, ma non è che Ichino e i suoi altoparlanti su giornali e tv la facciano molto più complicata, eh? Diciamo che la mettono giù in un modo più convincente.

Però, caro giovane, tu e Ichino potreste avere ragione anche su questo. Che ne so io, dopotutto. E quindi non ti chiedo di smettere di prendertela col PD, o con la CGIL, o con quel feticcio che è l'articolo 18. Puoi continuare se ti va a vedere in me un membro della casta, perché ho un contratto a tempo indeterminato, anche se alla fine del mese magari piglio meno di te. Vorrei soltanto essere sicuro che tu abbia capito cosa stai chiedendo.

Tu non stai chiedendo di abbattere il mio steccato. Quello ormai resta. La Fornero non si pone neanche il problema. Nemmeno Ichino osa. Il mio steccato non è in discussione. Tu stai semplicemente lottando perché nessuno sia più ammesso dall'altra parte. Chi è stato assunto prima della futura riforma Ichino resterà più o meno garantito. Gli altri, anche se sono arrivati a un tempo determinato dopo anni di contratti a progetto, resteranno per sempre al di qua. Licenziabili per un capriccio.

Posso essere più chiaro? Tu non stai lottando per togliere un diritto a me. Tu stai chiedendo che lo stesso diritto non possa più essere esteso al te stesso di domani. E si capisce, sei giovane e pieno di energia. Cambiare contratto una volta al mese non ti spaventa, perché dovresti ambire a una sistemazione a tempo continuato sotto l'ombrello dell'articolo 18? e a una panchina ai giardinetti, già che ci siamo? Largo ai giovani.

Lo stesso vale per le pensioni. Quando chiedi che siano tagliate, non stai parlando delle pensioni dei tuoi genitori. Stai parlando della tua. Quando auspichi l'abolizione della pensione di anzianità, non stai parlando della mia anzianità: stai parlando della tua. Quando chiedi che sia innalzata l'età pensionabile, è della tua vita che si parla. (Ma tanto tu non invecchierai come tutti gli altri, tu a 66 anni sarai ancora pieno di tanta voglia di fare). Lo so che sei in buona fede, quando pensi che il corpo flaccido e inerte del mondo del lavoro si meriti una sferzata: voglio solo essere sicuro che tu abbia capito che l'unica schiena a disposizione è la tua. Dopodiché, puoi continuare a ichineggiare e perfino sacconeggiare, se ti fa sentire bene. Magari hai ragione. Magari davvero l'unica strada è quella di alzare l'età pensionabile (la tua), e rendere più facile il licenziamento (tuo). Io resto scettico, ma è Ichino l'esperto.

E lui sta pur tranquillo che non lo licenzia nessuno.
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Il nuovo Baudo (è meglio del vecchio)

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Ho letto Popstar della cultura di Alessandro Trocino, e non so se consigliarlo. Il fulcro del testo è l'introduzione, che trovate integrale sul Post, dove si illustra quella fenomenale definizione che poi vale il libro intero: popstar della cultura, appunto. Seguono sei brevi monografie su altrettante popstar (Saviano, Allevi, Petrini, Grillo, Mauro Corona, Camilleri), che in generale suscitano in me l'effetto instant book, non so se riesco a spiegarmi, quando pensi: “Questo è interessante, dovrei leggermi un vero libro sull'argomento”. Forse Trocino ha avuto un po' troppa fretta di uscire dopo il successo di Via con me, che è un po' la premessa di tutto il libro (Fazio come nuovo sacerdote della nuova cultura midcult). In effetti tutti e sei i personaggi si dimostrano molto interessanti e meritevoli di analisi un po' più approfondite, salvo che a quel punto magari Grillo si sarebbe incazzato e avrebbe sequestrato tutto (sì, pare che Grillo faccia ritirare le biografie non autorizzate, è un dettaglio interessante, se si pensa che la vita di Grillo è materiale da Dostoevskij). E in generale, chi si sarebbe letto un volume di trecento pagine, di cui magari cinquanta sulla concezione petriniana dell'agricultura, o altre trenta sul neoprimitivismo coroniano? Mi viene quasi il dubbio che le sei monografie funzionino soprattutto per le scintille che fanno nel sommario: l'effetto di leggere accostamenti come Saviano-Allevi. In realtà Trocino concede molto a Saviano, ed è persino disposto a riconoscere che quella di Grillo non è antipolitica, non più di quella di molti politici. Ma insomma, alla fine un dibattito su questo libro non può che vertere sulla definizione di popstar. Se dovessi riassumere il tutto in una pagina, metterei questa:

L’intellettuale moderno non è più da tempo la cinghia di trasmissione tra il partito e le masse. All’egemonia culturale della sinistra è subentrata, silenziosa ma devastante, una nuova egemonia “sottoculturale”, per usare un’espressione di Massimiliano Panarari, che ha soppiantato la prima, inoculando nella società il pericoloso e pandemico germe del populismo mediatico.
Sedici anni di dominio berlusconiano hanno impresso un segno indelebile nel carattere nazionale. Per uscire dalle strettoie della sottocultura berlusconicentrica e per sfuggire al gorgo mefitico dell’autoreferenzialità, l’intellettuale ha ceduto di schianto. Succube da decenni di dibattiti autopoietici e di soporiferi cineclub, ormai ebbro e nauseato dalla propria presunta superiorità morale, da tempo degradata in un indifendibile moralismo da casta protetta, la sinistra culturale ha rotto le righe e, muovendosi in ordine sparso, si è buttata nello stesso circuito di populismo della destra, innervato da robuste iniezioni di moderni steroidi catodici. Quel che rimane dell’industria culturale in mano alla sinistra scimmiotta il baudesco nazionalpopolare, utilizzando le antiche corde dell’emozione, del sentimento, dell’anima, dell’antirazionalismo, dell’antimodernismo e della cialtroneria, che da sempre costituiscono il nerbo della melodrammatica e furbesca indole italica. Così nasce e prospera Giovanni Allevi...



Alcune obiezioni:

1. B e r l u s c o n i    h a    v i n t o. Ci ha inoculato. Abbiamo ceduto di schianto e adesso ci ritroviamo Allevi, mentre prima ascoltavamo... ascoltavamo... boh, Benedetti Michelangeli? Trocino, che pure identifica con molta chiarezza quali sono i contenuti deteriori delle 'popstar' (sentimentalismo, antirazionalismo, primitivismo, eccetera), e altrove se la prende esplicitamente con i “venditori di apocalisse”, ecco, Trocino non è del tutto immune dal sentimento apocalittico. Addirittura nella sua versione più svenduta, l'antiberlusconismo. Per immaginare che Berlusconi ci abbia lasciato un segno indelebile, dobbiamo postulare un'età dell'innocenza in cui non eravamo berlusconiani, non avevamo ancora colto la mela del biscione e quindi fruivamo di una cultura vera, senza popstar. Ma è mai esistita questa età dell'oro in cui invece di Allevi ascoltavamo Benedetti Michelangeli, mentre sfogliavamo La dialettica dell'Illuminismo invece di Camilleri? Lo chiedo a voi, io non me la ricordo, sarà che sono giovane?

Trocino stesso indica come prima manifestazione di popstar culturali la tenzone post 11 settembre tra la Fallaci e Terzani sulle pagine del Corriere. Ecco, per esempio, la Fallaci. Senz'altro una popstar quando scriveva La Rabbia e l'Orgoglio (la cui estrema appendice si chiama, guardacaso, Apocalisse). Ma la Fallaci degli anni Settanta? Qualla delle super-mega-interviste coi protagonisti del Novecento? La Fallaci di Un uomo o di Lettere a un bambino? Non aveva già il piglio, il carisma e il pubblico di una popstar? E... Pasolini? Trocino si ritrova a citarlo spesso, come padre putativo di un certo sentimento antimoderno che serpeggia tra le nuove popstar. Pasolini è un autore contorto e aggrovigliato sulla sua stessa ideologia, ma pensiamolo semplicemente nel ruolo che interpretava (che aveva in un qualche modo acconsentito a interpretare) nel dibattito culturale degli anni '70; pensiamo alle Lettere Corsare: non era una popstar – anzi, meglio, una rockstar – anche lui, quando scriveva “io so” o “vi odio cari studenti”? E la Morante del Mondo salvato dai ragazzini? E Don Milani, non quello asperrimo delle Esperienze pastorali, ma quello edulcorato della vulgata veltroniana, quello che è un eroe perché non boccia gli studenti poveri? E Dario Fo? E Indro Montanelli quando faceva lo storico? Ed Enzo Biagi quando diventava un marchio di fabbrica (garanzia di medietà) da appiccicare su qualsiasi prodotto industriale, compresi i fumetti? Tutto questo succedeva quando Berlusconi faceva al massimo il palazzinaro: non l'ha inventato lui il midcult. In seguito non mi sembra che abbia aggiunto molto a una formula già rodata. Ne ha semplicemente approfittato, come qualsiasi editore (Feltrinelli non lo ha fatto? E Adelphi?)

2. F a z i o    è    i l   n u o v o     B a u d o. Sono d'accordo. E allora? Secondo me sarebbe d'accordo lo stesso Fazio, probabilmente è il disegno che persegue da anni. A questo punto però propongo un esercizio intellettuale: immaginare cosa sarebbe Domenica In, il contenitore domenicale della Rai, se lo gestisse Fazio da dieci anni, come probabilmente sarebbe successo senza editti praghesi e in generale senza Berlusconi al potere. Non c'è dubbio che lo avrebbe gestito come lo gestiva Baudo negli anni Ottanta: invitando cantanti e scrittori, presentando balletti cantanti e telefilm, e dando verso sera la linea a 90° minuto. Secondo me Fazio ha sempre voluto essere quello lì, quello che regna sulla domenica italiana. E non c'è dubbio che sarebbe una domenica nazionalpopolare, ma che domenica sarebbe? Un'intervista a Peter Gabriel (all'ora in cui invece si parla del delitto di Avetrana), un siparietto con Albanese (invece che Platinette), due chiacchiere divulgative con Odifreddi (invece di un servizio sulla fine del mondo nel 2012), un balletto ma sperimentale, poi un'ospitata di Follett o Calasso che presentano il loro cartonato (invece di un servizio dalla casa del Grande Fratello). Che domeniche sarebbero? Naturalmente noi avremmo meglio da fare che guardarlo – ma non sarebbe un netto miglioramento, non solo nei confronti della merda che affligge la nostra digestione mentre sonnecchiamo sul divano, ma anche rispetto alla Domenica baudiana? Insomma, preso atto che Fazio è il nuovo Baudo, è così male come Baudo? Baudo non invitava la Fallaci o Pasolini, è arrivato troppo tardi: ma non è neanche riuscito a scovare Pier Vittorio Tondelli o Andrea Pazienza. Io ricordo immarcescibili i vari Bevilacqua, Gervaso, De Crescenzo, Luca Goldoni, per carità tutta gente simpatica, ma non stiamo neanche a scomodare il termine popstar. E invece un Pazienza da Fazio ci sarebbe andato. E gli avremmo dato del nazionalpopolare. Perché saremmo convinti di vivere in una pessima Italia, non sapendo quanto è pessima quella in cui Berlusconi ha vinto e la domenica è affidata a creature come Giletti, o Giurato.

3. L e     c e n e r i    d i     G r a m s c i. Per l'apocalittico Trocino l'apparizione di queste popstar è un chiaro sintomo degenerativo della cultura di sinistra (ogni tanto compare Gramsci come nume tutelare, per la verità la riflessione di Gramsci sul nazionapopolare era un po' più sottile). Ora, dare addosso alla sinistra è uno sport nazionale che pratico anch'io a livello amatoriale (ma da bambino sognavo il professionismo). Però, insomma, chi ce lo ha detto che Allevi è di sinistra? Lui no, lui non lo ha detto. Da cosa si dovrebbe capire? E Mauro Corona? Non potrebbe essere considerato più agevolmente un autore di destra, col suo primitivismo apocalittico? A volte, più che essere di sinistra, queste popstar “vengono” dalla sinistra: vedi Petrini, con la sua storia di comunista di sezione. Trocino poi insiste molto sui 'tradimenti' di Petrini, sui suoi flirt con la Lega. Si potrebbe semplicemente prendere atto che il fondatore di Slow Food, partendo da sinistra, si è spostato consapevolmente su posizioni conservatrici che lo portano per forza a incrociarsi con movimenti tradizionalisti e identitari. Lo stesso Saviano, prima che con “Vieni via con me” si ritrovasse nella ridotta televisiva antiberlusconiana, godeva di una certa trasversalità politica, secondo Facci e Socci era addirittura un intellettuale di destra (a proposito: e Socci? Non è a suo modo una popstar, anche se più locale, diciamo un neomelodico della parrocchietta? E Veneziani? E Buttafuoco? E chi li legge? Sì, appunto, è il solito problema della cultura italiana di destra, che non trovi nessuno disposto a leggertela, figurati a passarti i riassunti). Il fatto che da sinistra spuntino più popstar dipende se mai dal fatto che sempre di consumo culturale stiamo parlando, e il bacino di questo consumo è sempre il famoso ceto medio riflessivo coi capelli grigi che intasa le librerie Feltrinelli alle sei di pomeriggio di ogni santo sabato: i libri e i dischi li comprano praticamente solo loro  (per dire io Trocino l'ho preso in biblioteca), quindi è abbastanza naturale che oggi le popstar nascano lì. Ma non restano lì, questo mi sembra importante. Si diventa popstar quando si riesce a sfondare il proprio bacino tradizionale e a piacere anche a tutti gli altri. Lo stesso Camilleri, prima di darsi alle invettive impegnate, ha conquistato la sua popolarità sulla cosa più trasversale che esista sui banchi del mercato letterario: il giallo seriale. Roba tendenzialmente conservatrice, non fosse perché di solito la Legge trionfa e l'Ordine viene ripristinato: salvo che in quegli anni c'è stata un'enorme rivalutazione del noir da sinistra, che ha permesso a Camilleri e ai suoi lettori di non percepire quel senso di colpa – ma anche quel delizioso senso di proibito – che avevano i 'compagni' di trent'anni fa che sfoggiavano Marcuse sugli scaffali del soggiorno ma sul comodino ammucchiavano Gialli Mondadori. C o n t i n u a . . .
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Frustami un po' più a destra

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Professor Ricolfi, buongiorno. Sono la Sinistra italiana. Di solito sono un concetto astratto, ma a volte mi impossesso del corpo di un blogger a caso. Volevo ringraziarla per le sue critiche di martedì scorso, ne avevo davvero bisogno. Io amo molto le critiche, come lei ben sa, e questa settimana rischiavo di andare in bianco.

In effetti è stata una settimana strana. Domenica c'è stata la manifestazione delle donne, un successo insperato, che ha reso immaginabile lo strano asse Vendola-Bindi: finalmente un ticket interessante per le primarie di coalizione, che prima o poi si faranno (nel frattempo è uscito allo scoperto anche Renzi, una faccia relativamente nuova, con idee discutibili ma stimolanti). Lunedì sono usciti dei sondaggi che mi davano vincente anche senza Fini sul groppone, roba seria, eh? Mannheimer, dico, era da parecchio che non succedeva. So benissimo anch'io che non è proprio merito mio: Berlusconi continua a friggere nel bunga-bunga, i suoi sostenitori perdono tempo in bizantinismi giudiziari e non riescono più a comunicare niente di realmente interessante ai loro elettori. Fini è spompato, non regge il pressing parlamentare; anche i leghisti hanno i loro problemi col federalismo promesso che non c'è, i respingimenti promessi che non ci sono, insomma a me basta poco per fare bella figura. Se poi è anche la settimana di Sanremo, e invitano Benigni... beh, per le mie quotazioni è tutto grasso che cola. Cosa chiedere di più? Ferrara che fa il coglione? Magari qualche leak in cui Berlusconi viene ridicolizzato da un ambasciatore americano? Insomma, caro Ricolfi, è stata una settimana troppo buona per me. Primavera in anticipo. Per fortuna che c'era il suo editoriale a riportarmi a terra, a ricordarmi le mie precise responsabilità nel disastro del Paese.

Perché sì, a volte rischio di dimenticarmelo, che è tutta colpa mia. Berlusconi, per esempio: al potere ce l'ho mandato io. Con la mia supponenza. Con la pretesa, sempre quell'odiosa pretesa, di rappresentare il meglio del Paese, quella che mi ha inimicato non il peggio, ma il grosso degli italiani. È vero, professore, è proprio vero, è tutta colpa mia, e anche se i sondaggi per una volta me la danno buona, questa non è una scusa per interrompere la mia abituale autoflagellazione. Così, a ripensarci, le iniziative di Renzi e Vendola non sono che la dimostrazione che la sinistra è litigiosa e non riesce a trovare un vero leader (la Bindi infatti si è smarcata subito). E i diplomatici che stroncano Berlusconi hanno qualche severa parola anche per gli ulivisti incapaci che lo hanno lasciato vincere. Insomma, mea culpa, mea maxima culpa...

Mi stavo dunque cospargendo di cenere come di consueto, quando gli occhi mi sono scivolati su una notizia interessante: ha presente, professore, gli allevatori (quasi tutti leghisti) che da anni mentono sulle quote latte e dovrebbero pagare un'euromulta? Ecco, il governo gli ha concesso un'altra proroga di sei mesi. I soldi intanto li mette il governo che, a quanto pare, li attingerà da un fondo stanziato anche per "l'assistenza e la cura dei malati oncologici". Fa un po' impressione, no? I soldi delle cure oncologiche per le quote latte. Ora, senz'altro anche in questo caso si può trovare un modo di dare la colpa a me, ma come? Probabilmente con la mia tradizionale snobberia non sono riuscito a convincere gli allevatori disonesti a scegliere me: non ho offerto loro nessuna scappatoia, magari la mia pretesa superiorità morale mi ha impedito di fottere qualche denaro pubblico all'erario per loro, sottraendoli a vedove od orfanelli. Mea culpa, mea maxima culpa... Però, prof. Ricolfi, lei ammetterà che in questo caso almeno un po' di colpa ce l'hanno anche i leghisti? Voglio pensare che sì.

E allora mi spieghi questa cosa: perché non leggo mai, sulla Stampa, o sul Corriere, sul Sole un editoriale come il suo, ma rivolto ai leghisti, o ai berlusconiani? Un pezzo che ricordi le loro responsabilità morali, prima che giudiziarie, il loro essersi adagiati sulle peggiori abitudini del Paese, il populismo, il qualunquismo, il clientelismo...

Caro Ricolfi, ho una teoria. Lei un pezzo così non lo scrive perché sa che non servirebbe a niente. Criticare la Destra è perfettamente inutile: ci sguazza, la Destra, nelle critiche degli opinionisti. Chiunque sollevi una benché minima obiezione si ritroverà iscritto nel registro dei radicalchic, a che pro? Così alla fine se continuate a criticare soltanto me, non è per parzialità, ma perché sono l'unica che vi ascolta, l'unica che vi dà retta. Perché alla fine, caro Ricolfi, i primi a credere nella superiorità della sinistra siete proprio voi, che alla sinistra continuate a rivolgere le vostre critiche, mentre alla destra cosa vuoi mai, alla destra è inutile parlare, ormai ci parla solo chi è a libro paga.

Ma chissà se è poi vero. Chissà se a destra sono così sordi alle critiche. Chissà se non lo sono anche un po' diventati col tempo, a furia di non riceverne mai da quelli da cui avrebbero potuto anche ascoltarle. Pensi a Berlusconi, a come si è ridotto. Non è anche responsabilità di chi poteva rimproverarlo al momento giusto e non lo ha fatto? Perché in fondo era più comodo, più gratificante, più vantaggioso prendersela con me? Forse sì. Ma a questo punto so cosa obietterà: non è stata colpa vostra, sono stato io a dare troppa corda a voi critici, a ringraziarvi troppo, a intrappolarmi in un autoerotico autodafé. E quindi cosa dovrei fare? Fottermi delle vostre critiche e mandarvi, magari, virilmente a fare in c... ma non è il mio stile, dai, non sarei credibile. Sono la sinistra. Sono lamentosa e compassionevole - no, diciamo la verità. Sono masochista, sono cresciuta mentre crollava il Muro di Berlino, e quel trauma me lo porto dentro, così ho bisogno delle vostre frustate settimanali.

Caro Ricolfi, conosce quella barzelletta del sadico e del masochista? Sono amanti. Il secondo dice al primo: "Fammi male". Il primo gli risponde: "No!" Il secondo gode. Forse, caro Ricolfi, sono pronta per quell'ultimo, supremo piacere. Chiuderò gli occhi e voi sparirete: li riaprirò e sarò sola, senza più flagelli e frustini, senza peccati originali da scontare, con qualche responsabilità per tutto il casino che è successo, tanto lavoro da fare, tanto Paese da provare a rimettere in piedi. Non sarà facile. Ma prima o poi deve succedere. Questo nostro giochino morboso non è più divertente da un pezzo.
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Scuola di Opposizione 1

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Voghera is burning

Trenta giorni fa:
“Benvenuti al Laboratorio di Opposizione... cosa sono quelle facce mogie? Lasciatemi indovinare. Avreste preferito essere ammessi al Laboratorio di Governo, vero? Beh, non si può aver tutto dalla vita. E comunque vi svelerò un segreto”.
“Sentiamo”.
“L'Opposizione è più divertente! Distruggere è più facile che proporre, e poi ti dà la possibilità di imparare le priorità tra le notizie... per esempio, guardate i titoli dei giornali. C'è molta carne al fuoco, stamattina. Quante notizie. Quanti spunti. Dovete allenarvi a vedere in ogni notizia un'opportunità per mirare al Governo, capite? Ogni titolo è una freccetta. Però, attenzione: la maggior parte delle freccette sono scadenti. Hanno la punta smussata. Oppure sono pesanti e cadono prima d'arrivare al bersaglio. O sono troppo leggere. O il peso è mal calibrato e la traiettoria devia, credi di aver mirato al Governo e invece hai colpito qualcun altro, magari un tuo amico. Vi dirò che ci sono persino freccette boomerang, pensateci, freccette che vi tornano indietro, voi credevate di aver fatto un buon tiro e d'improvviso ve le trovate in... ci siamo capiti.
Ora, l'esercizio è il seguente. Prendete queste prime pagine. Osservatele. Trovatemi la freccetta giusta. Quella né troppo leggera né troppo pesante, ben calibrata, con una punta acuminata come la lingua di un serpente, e che non torna indietro. Vi dico che ce n'è una sola, le altre sono tutte freccette sbagliate. Cominciamo”.
“Mah, ci sarebbe il decreto sulle intercettazioni”.
“Interessante. Il decreto sulle intercettazioni. Spiegaci perché secondo te è la freccetta giusta”.
“Ecco, mi sembra chiaro che Berlusconi stia pensando solo ai suoi interessi”.
“Come tutti, del resto. Abbiamo tutti a cuore i nostri interessi, e Berlusconi è un po' il simbolo di questo. La gente lo vota perché si riconosce. Sei ancora sicuro che sia la freccetta giusta?”
“Ci sarebbe la storia dell'intercettazione con Saccà... quella in cui dice che gli serve una Velina per convincere un senatore a votare la sfiducia al governo Prodi...”
“Tu sai che quella telefonata non rappresenta nessuna violazione della legge, vero?”
“Sì, però abbiamo un leader politico che propone di scambiare favori sessuali con voti di fiducia... mi sembra uno scandalo. Cioè, io insisterei su questo fatto che...”
“Eccone un altro che se ne va impettito con la sua bella freccetta in culo. Ti svelerò un segreto: alla gente di queste cose non potrebbe fregar di mano. Berlusconi telefona a un amico che lavora in Rai. Parlano di veline. Embè? Credi che la casalinga di Voghera si svegli alla mattina pensando Speriamo che anche oggi Berlusconi non faccia cadere il governo in cambio di una velina? Sveglia! La casalinga pensa alla borsa della spesa, all'inflazione! Ai rifiuti sul marciapiede! Alla criminalità, quella vera, quella piccola che fa paura! A questo pensa”.
“Sì, ma...”
“Niente ma. L'opposizione si fa sui fatti veri, quelli che interessano alla gente. Non sui gossip da quattro soldi. Prendete appunti”.

Quindici giorni fa:
“Rieccoci qui al nostro corso di Opposizione. Se ricordo bene avevate un compito per il fine settimana. Dovevate...”
“Cercare la freccetta giusta".
“Come al solito. Vediamo un po'. Tu, là in fondo. Cos'hai trovato”.
“Beh, io... C'è questa chiacchiera insistente, sui fondi dei quotidiani... che secondo me meriterebbe più attenzione”.
“Una chiacchiera? Non sarà quello a cui sto pensando, vero?”
“Cioè, si parla di intercettazioni... in cui al telefono si allude a... pratiche sessuali tra Berlusconi e qualche giovane ministra...”
“No”.
“Sì, lo so che in apparenza si direbbe mero gossip, ma riflettendoci bene...”
“Dopo un mese, ancora mi cascate in un tranello del genere”.
“...lasciamo stare il pettegolezzo: abbiamo almeno un paio di giovani di bell'aspetto che nessuno sa perché facciano le ministre. Non lo sanno nemmeno i loro colleghi di Partito. Gente che magari ha studiato sodo e si vede scavalcata per motivi... per motivi... io credo che ci sia lo spazio per un'indignazione bipartisan”.
“Pure questo mi tocca sentire. L'indignazione bipartisan”.
“Che se uno ci pensa bene, fa parte sia del discorso sul ricambio generazionale che di quello sullo svuotamento delle istituzioni repubblicane: c'è un signore che si è preso tutto, e nei posti di responsabilità ha piazzato dei... delle pompinare, reali o metaforiche. Credo che in un altro Paese i quotidiani insisterebbero sull'argomento tutti i giorni”.
“E perché non ci vai?”
“Prego?”
“Perché non ci vai, in un altro Paese civile dove non hanno altri problemi al di fuori dei pompini presidenziali? E così magari ci lasci liberi di discutere dei veri problemi... i rifiuti... il carovita... le tasse... certo, posso capire che alla tua altezza questi problemi non esistano...”
“Ma veramente...”
“Di sicuro non te ne preoccupi. Ti preoccupi perché Berlusconi ogni tanto se la spassa come una ministra. E anche la famosa casalinga, immagino. Lei non dev'essere spaventata dalla microcriminalità, dall'emergenza rifiuti, no, no. Lei è preoccupata perché la ministra delle Pari Opportunità stacca delle pompe al Presidente”.
“Mi sembra... mi sembra un affronto alle istituzioni...”
“Ma non capisci che è un tranello? Che ci vogliono far passare l'estate a parlare di pompini e affronti alle istituzioni, mentre loro si prendono il potere vero? Le aliquote. Le accise. Dobbiamo parlare di questo. Di cose reali, capisci? Di fatti? La vera opposizione si fa così”.

Ieri
“Buongiorno professore”.
“'Giorno”.
“Le abbiamo portato il lavoro di gruppo che ci aveva richiesto”.
“Ah, sì, bravi...”
“Professore, ma che faccia ha? Non sta bene?”
“Ma no, è che... ho fatto mattina con il gruppo di crisi del Governo Ombra... siamo un po' in difficoltà”.
“Per via dell'emergenza rifiuti, vero?”
“Già... La fine dell'emergenza rifiuti. Che colpo di genio”.
“Beh, professore, era prevedibile. Dopo un po' le emergenze finiscono. È a quello che servono, no?”
“Sì, ma sono stati bravi. Dei professionisti. Pare che faranno uno special su Italia1 dopo Lucignolo... la propaganda spalmata sulle tette. Fantastico...”
“Comunque noi, professore, avremmo pensato di passare al contrattacco...”
“Avercelo noi, un traino come Lucignolo”.
“Siamo partiti da un presupposto: nulla si crea e nulla si distrugge, quindi la monnezza è ancora lì. Non resta che farla notare a tutti”.
“...e invece a noi, che ci tocca? Chi l'ha Visto? Ma fateci il piacere...”
“E quindi pensavamo a un intervento massiccio da Napoli in giù! Distaccare tutti i pezzi grossi del partito, mandarli dove hanno riaperto le discariche che già scoppiano”.
“Certo, tra luglio e agosto mi sa che non vedono l'ora... invece delle Seychelles... un bel weekend a Chiaiano...”
“Mandarli nei comuni che continuano a dire di no agli inceneritori. Insistere sul fatto che l'emergenza non può essere finita, perché le cause strutturali non sono state risolte”.
“Sì, me li immagino i telespettatori... appena sentono "Cause strutturali", clic!”
“E che quindi, insomma, annunciare che è finita l'emergenza significa soltanto: per noi non è più un'emergenza, sono solo cazzi vostri...”
“Ci vorrebbe un diversivo, invece...”
“Che è poi il vero messaggio in codice di Bossi, quando ha mostrato il dito”.
“Che cosa?”
“Sì, ieri sera Bossi ha mostrato il dito medio. A un comizio. Le solite cose”.
“Questo sì che è interessante! E cos'ha detto?”
“Mah, un qui-pro-quo sull'Inno di Mameli... dice che non vuole più essere schiavo di Roma...”
“Volete dirmi che ha osato prendersi gioco dell'Inno?”
“Massì, professore, sono le solite cose da repertorio... le abbiamo studiate, no?”
“Ci sono! Questa è la freccetta giusta! Non troppo leggera, non troppo pesante, ben calibrata e acuminata il giusto! Giù le mani dall'Inno!”
“Ma professore...”
“E sarà una campagna bipartisan! Nessuno può prendersela con l'Inno! Chiederemo le dimissioni! Questa sì che è Opposizione!
“Ma veramente...”
“Cosa c'è adesso?”
“Sono le solite cose che Bossi dice e fa da vent'anni – è stato anche processato per vilipendio al tricolore”.
“Bravi! Rispolverate la storia, insistiamo sul concetto!”
“Sì, ma poi lo hanno eletto e lo hanno rifatto ministro. È evidente che per la casalinga di Voghera l'inno e il tricolore non sono una priorità”.
“La casalinga, sempre questa casalinga, come se fossimo qui per andare dietro alle casalinghe. Certo che voi non imparate mai”.
“...”
“Uno si sgola a spiegarvi i fondamentali, ma è tutto inutile”.
“...”
“Stiamo qui a far accademia, e intanto quegli altri agiscono. Son forti loro, hanno Lucignolo. Ce l'avessimo noi, Lucignolo. Ah, ma verrà il giorno...”
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Radical-cheap

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Non è un Paese per signorine

Ma adesso che abbiamo chiamato pompinara una ministra, e frocio il papa, il tutto con tanti vaffanculo di contorno, almeno la smetteranno di chiamarci radical chic?

Adulti, guardatevi dal girotondo: è un rito pagano, il mondo casca e tu ritorni bambino. Quella che cominciò nel 2002, come nobile campagna in difesa della costituzione promossa da intellettuali e giuristi, in sette anni si è trasformata in una cerimonia rabbiosa e viscerale, che in quanto a energia negativa non ha molto da invidiare ai raduni leghisti. È stata una lentissima, progressiva mutazione. Antropologica, certo. E berlusconiana, naturalmente. Non importa quanto cerchiamo di reagire al modello imposto: la nostra coscienza collettiva è solo una crosta sottile. Lei (la nostra coscienza collettiva, intendo) forse era andata in piazza Navona con l'idea di organizzare la presa della Bastiglia, ma intanto il nostro inconscio collettivo stava preparando una puntatona di Zelig: ehi, la sapete l'ultima sul Papa?

A questo punto però bisognerebbe decidersi: la sinistra è fuori del mondo perché parla solo di cose astruse che non interessano a nessuno, o perché indulge al triviale e dice pompino al pompino? E da un estremo all'altro, c'è stato mai un momento in cui la sinistra abbia azzeccato la frequenza giusta per parlare alla gente? E se questa frequenza (bassa) l'avessero captata proprio Grillo e la Guzzanti? Mentre le discussioni sui decreti e sui lodi restano chiacchiere da pubblico specializzato, il fango gettato sul ministro Carfagna è materia da gossip, da bar, da maggioranza silenziosa e maldicente. Per questo non mi sento di condividere il giudizio finale di Maltese. Se nei prossimi mesi Berlusconi e Tremonti non azzeccheranno qualche numero, il malcontento popolare prenderà piede nutrendosi proprio di queste schifezze da basso impero.

A proposito di Impero: all'università il mio autore latino preferito era Svetonio. Scrittore e storico mediocre, ma propagandista geniale. Lui non perdeva tempo a criticare la tirannide imperiale da un punto di vista filosofico o politico: gli bastava appioppare a tutti gli imperatori i vizi peggiori che si potevano rintracciare sul mercato del pettegolezzo. È così che la dinastia Giulio-claudia si è trasformata in quella combriccola di pazzi maniaci assassini e pedofili che ancora ci affascina. Ecco, attenzione a liquidare Guzzanti e Grillo come due comici incarogniti. Istintivamente hanno scelto la strategia di Svetonio, che è la più adatta ai tempi: la corruzione del corpo come metafora della corruzione dello Stato. La trasformazione dell'avversario in mostro morale ha precedenti illustri: Benedetto XVI non è il primo Papa a essere accusato di nefandezze e sodomie, e la folla che marciava sulla Bastiglia era incattitivita da anni di basse chiacchiere sui costumi di Luigi e Maria Antonietta. Insomma, la politica si potrebbe fare anche così. È una politica rozza, populista e tribunizia, ma si può fare, e non è detto che non porti risultati: guardate Bossi dov'è arrivato.

Ora sento già qualcuno replicare che noi non dovremmo imitare Bossi. Ma è possibile che siano gli stessi che qualche mese fa ci rimproveravano di aver perso il contatto con la “gente”, di crogiolarci nella nostra supposta superiorità antropologica, mentre Bossi ci fregava i voti. Insomma, decidetevi: ci preferite radical-chic o vaffanculisti da piazza? Qualsiasi strategia vi andrà bene, probabilmente, purché sia perdente nel breve termine e vi consenta di darci lezioni per qualche anno in più.
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Ritorno al girotondo

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Questo dibattito Veltroni-sì Veltroni-no è paradossale. Veltroni ha già smesso di essere il leader del centrosinistra: e vi piaccia o no in questo momento la carica è esercitata da Antonio Di Pietro. Una ragione in più per sbrigarsi a eleggere un nuovo segretario del PD al posto di quello che già non c'è. Se siete d'accordo su questo non c'è neanche bisogno di continuare a leggere qui.

Cascasse il mondo

Non mi ricordo più chi (non era un blog) scrisse qualche mese fa che dietro a Berlusconi III non c'è soltanto la solita accozzaglia, ma un nuovo blocco sociale. È una tesi che mi convince, e mi spaventa insieme.
In questo blocco c'è l'operaio frustrato del nord che ha votato Lega e il sottoccupato siciliano che ha votato Autonomista; i tassinari romani e gli industrialotti, tutti, giovani e vecchi. È un patto sociale verticale che mi ricorda terribilmente il fascismo (forse perché alla fin fine io solo il fascismo ho studiato; forse avrei dovuto dare un occhio anche a Peron o a Napoleone III: troppo tardi). Tiene insieme una certa aristocrazia, una certa borghesia con un certo proletariato... ai danni, ovviamente, di altre aristocrazie, di altre borghesie, di altri proletari, che però sono talmente disuniti da non aver ancora capito che hanno perso, e cosa hanno perso.

C'è capitato a tutti di criticare il PD perché dietro alla somma aritmetica di un partito di sinistra con un partito democratico cristiano non scorgevamo nessun progetto. E magari eravamo ingiusti, magari un progetto c'era: il problema è che siamo in una fase di recessione, in cui ai progetti non crede nessuno, la gente crede agli scontrini della spesa. Ecco, non si è mai capito quali classi, quali categorie si sarebbero avvantaggiate da un governo PD – e non vale dire “tutte”, perché non ci crede nessuno: i tassisti che fecero i caroselli la notte della vittoria di Alemanno sapevano bene di aver vinto a scapito di un'altra categoria (gli utenti); allo stesso modo il lunedì delle elezioni io sapevo benissimo di aver perso in quanto insegnante statale, mentre i miei colleghi delle scuole private avevano vinto. Ora il punto è: se quel lunedì avesse vinto Veltroni, chi avrebbe fatto i caroselli? Quali categorie, quali classi sociali avrebbero dovuto sentirsi avvantaggiate? Non si sa, non si capisce, nessun dirigente del PD ha mai avuto il coraggio di dirlo. Invece di scommettere su alcune fasce, alcune categorie, hanno cercato di prendere qualche rappresentante di tutte: l'industriale veneto, l'ambientalista, la tipa giovane, il tipo radicale. Con la pretesa di mettere d'accordo tutti a scapito di nessuno. La stessa pretesa, a ben vedere, che aveva logorato l'Ulivo: la grande idea nuova era sostituire i piccoli cespugli ancorati alle loro nicchie geografiche e sociali con una cooptazione mirata dall'alto. Solo che in alto non avevano neppure tutta questa mira, come s'è visto (tutti quei radicali, per esempio, che parte del Paese reale dovrebbero rappresentare?)

In realtà ci sono delle fasce più sensibili al messaggio del PD, ma Veltroni & co. si sono guardati bene dallo scommettere su di loro. Tra queste, vale la pena di sottolinearlo, non ci sono gli operai, che non hanno iniziato a votar Lega in aprile, sono anni che lo fanno. Ma per esempio i migranti (che però non votano, o votano quando ormai lavorano da quindici anni e la priorità è tenere le distanze con quelli che sono arrivati dopo di loro, per cui passano direttamente alla Lega). E ancora, i quadri intermedi. Gli impiegati, non solo statali. E poi tutto quel mondo che stiamo cominciando a chiamare cognitariato, nome brutto ma efficace: i proletari avevano solo la prole, i cognitari hanno solo... no, non i cognati, tranne in qualche caso fortunato.

Ora io mi rendo perfettamente conto che un'alleanza più solida con questa classe media non avrebbe fatto vincere il PD; però almeno poteva essere la solida pietra sulla quale costruire un blocco sociale alternativo. Quest'alleanza avrebbe avuto come suggello l'antiberlusconismo, perché l'antiberlusconismo storicamente è stato per anni la bandiera di quella precisa categoria sociale. Dietro a quella bandiera, poi, ci sarebbero state molte altre cose: un certo rigore giustizialista (l'impiegato medio va fiero della sua fedina penale immacolata), la lotta all'evasione (lui le tasse non può evaderle, e festeggia ogni scandalo finanziario con soddisfazione apolitica), più soldi alle strutture pubbliche e alla ricerca. Però sulla bandiera, già da anni, c'è la belva Berlus in manette: sarebbe lunga spiegare il perché, ma quello è il vitello d'oro intorno al quale abbiamo danzato in girotondo dal '94. Il fatto che Veltroni abbia voluto rinunciarvi non l'abbiamo mandato giù tanto bene, ma se era per vincere le elezioni... però le elezioni alla fine le ha perse, e male, e adesso il vitello lo rivogliamo. Altrimenti votiamo Di Pietro, che è già lì bello comodo.
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Un lampione non fa il Sudafrica

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Città buia

Di Roma veramente non dovrei scrivere, perché è una città molto grande e complicata che non conosco. È solo che alla fine di tante chiacchiere mi è rimasta una curiosità, che forse un raro lettore romano potrà esaudire: ce l'hanno poi messo, quel lampione in zona Tor di Quinto di cui tanto si parlava l'anno scorso?
Oggi forse qualcuno se n'è scordato, ma il dibattito sul lampione – illuminante, è il caso di dirlo, col senno del poi – fu talmente sentito da lambire i commenti di questo blog, che veramente con Roma c'entra nulla o poco. La mia imminente svolta a destra(*) probabilmente è iniziata in quel momento, cioè da quando osai proporre anch'io “qualche notte bianca in meno e qualche lampione in più”... e subito ci fu chi m'accusò di voler importare dentro il Grande Raccordo il modello sudafricano: telecamere, torrette, filo spinato... lo vedete che alla fine è l'estremismo che ci frega? Intendo l'estremismo degli argomenti: perché se ci pensate a mente fredda dovrete convenire che un lampione non fa il Sudafrica: non costa neanche molto e tiene un po' più lontano la paura, e magari anche chi sulla paura ci specula su.

Certo, quelli non sono mica dilettanti: è da vent'anni che ammucchiano testate ed emittenze, vent'anni che insistono sul problema; un lampione in più di sicuro non li avrebbe messo in difficoltà, non avrebbe salvato Roma da Alemanno e i suoi manipoli. Però almeno ci avrebbe lasciato la coscienza pulita, la sensazione di aver fatto tutto quello che onestamente si poteva per evitare la psicosi del buio montata ad arte sui media. Oltre al fatto, non secondario, che lo stesso lampione potrebbe salvare una vita. Sto parlando del lampione che l'anno scorso non illuminava il sentiero di casa di Giovanna Reggiani, aggredita e uccisa a pochi km. dal Campidoglio. Per l'occasione il sindaco Veltroni promise e minacciò; siccome l'aggressore veniva dalla Romania andò a parlarne col presidente rumeno personalmente, ma quel lampione poi lo piantò? Chiedo, perché onestamente non lo so. Qualcuno lo sa?

E nel caso il lampione non ci fosse ancora, mi avvertite quando lo pianterà Alemanno? Giusto per verificare un pregiudizio mio sulla destra tutta ordine-e-sicurezza: secondo me è un bluff. O meglio: Alemanni e compagnia sono talmente dipendenti da questo problema, che se lo risolvessero non sarebbero più in grado di trovare un motivo per farsi votare. Voglio dire che se per assurdo i soldi di tutte le Notti Bianche e delle Feste Del Cinema da qui all'eternità fossero dirottate sui lampioni e sulle ronde di quartiere, e sui voli charter per rimpatriare qualsiasi straniero dall'aria vagamente delinquenziale; se insomma Roma diventasse improvvisamente una capitale moderna, pulita, ordinata, una specie di enorme Treviri... a quel punto chi se la filerebbe più, la destra torva di Fini e Alemanno? Certi problemi è meglio cavalcarli che risolverli. D'altro canto, anche quel giorno i canali in chiaro e scuro non smetterebbero di pompare l'allarme criminalità (in fondo hanno continuato a farlo per vent'anni, man mano che i delitti diminuivano). Per cui, insomma, sì, da qui in poi il Sudafrica è davvero più vicino. Ma è in strada da anni: e sono ingiusto io, a pensare che un povero lampione avrebbe potuto ritardarlo.

(*) ...tengo famiglia.
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the Lone Walter

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- In difesa del fratello brontolone.

Io non vorrei diventare quello che parla male di Veltroni ad ogni costo; tuttavia credo che la sua decisione di mandare il PD da solo allo sbaraglio sia sbagliata. Onestamente spero che si tratti di un bluff, e che le prossime ore portino a un accordo di qualche tipo con la sinistra-arcobaleno. Purtroppo non riesco a condividere gli entusiasmi di molti per la svolta solitaria del PD; il coraggio dei suoi dirigenti lo apprezzerei di più se la posta in gioco non fossero altri cinque anni della vita mia e della mia famiglia. Detto questo, quando Veltroni tirerà fuori dal cappello l'arma segreta e roderà a Berlusconi i 10-15 punti che gli servono, io sarò il primo a rallegrarmi di essermi sbagliato. Sono anche disposto ad atti di umiliazione rituale (tagliarmi la barba, baciare il Cragno, guardare Amici di Maria De Filippi). E tuttavia, anche in caso di vittoria finale, continuerò a non capire per quali motivi il PD e la Sinistra non avrebbero potuto andare alle elezioni insieme. Non sto parlando di un'ammucchiata tra 10 partiti con priorità diverse: sto parlando di un'alleanza programmatica tra due forze che hanno già collaborato. Non se lo merita, la Sinistra? Non ha davvero fatto nulla di buono in questi due anni?

Il libro che va per la maggiore tra i delegati Pd, il Vangelo, parla di due figli che un padre manda a lavorare una vigna (Mt 21,28). Il primo dice: “Vado”, e non ci va; il secondo nicchia, si lagna, ma alla fine ci va. Domanda: chi dei due ha veramente compiuto la volontà del padre? Ok, era facile. Un'altra domanda, allora: chi dei due assomiglia di più alla sinistra verde-rifondarola?

Che la sinistra abbia brontolato parecchio, in questi due anni, è un fatto. Invece di ringraziare ogni giorno Dio o il caso per aver concesso la maggioranza a Prodi, i compagni non hanno mai smesso di lamentarsi. Si lagnavano per le pensioni (e alla fine il governo le ha calate), si lagnavano perché restavamo in Afganistan (e ci siamo rimasti). Si lagnavano per la base NATO di Vicenza (il governo ha confermato l'allargamento della base), per il TAV (nessun passo indietro). Per il crollo dei salari dei dipendenti (che crollo era e crollo è rimasto, mentre i manager facevano affari). Per le morti sul lavoro (siamo saldamente i primi in Europa). Per la legge sul conflitto d'interessi (una sciocchezza che non interessa nessuno...) E per tanti altri motivi, troppi motivi, con un solo dettaglio comune: erano motivi seri. Un'enorme guarnigione militare straniera in una città italiana è un problema serio: si può discutere se conti più la realpolitik o la qualità della vita degli abitanti, e sarà una discussione seria. Una guerra in Afganistan non è una sciocchezza. La TAV non è una sciocchezza, la sicurezza sul luogo del lavoro non lo è. Erano argomenti forti, dei quali era giusto discutere, e se il governo fosse caduto durante dibattiti del genere, sarebbe caduto in piedi. Invece è caduto per una melina elettorale, o per le grane giudiziarie della signora Mastella. È franato al centro, questo governo, ricordiamolo sempre. Non è stato il figlio brontolone a buttarlo giù. È stato il figlio modello, quello che dice sempre di sì, pieno di buon senso, latitante nel momento del bisogno.

La polemica contro i compagni brontoloni, prigionieri dei loro ideali, incapaci di venire a patti con la realtà, è un vecchio cavallo di battaglia di questo sito. Una volta (non ricordo dove) l'ho anche scritto: io sono un orfano del 1998, non mi sono più ripreso dallo spettacolo di Bertinotti che affonda il Prodi Uno a causa delle... 35 ore. L'altra pietra di scandalo fu la campagna elettorale del 2001, ai tempi in cui faceva molto fine scrivere al Manifesto forbite letterine in cui si dettagliavano i motivi della propria astensione. Continuo a pensare che l'astensionista di sinistra sia stato uno dei principali responsabili dello sfacelo di questi anni. Il fatto è che credo lo abbia capito anche lui. Mi sembra di poter dire che abbiamo fatto la pace. Lui brontola ancora molto, ma quando c'è da andare nella vigna a salvare la maggioranza, lo fa. Lo ha sempre fatto. Se volessimo per una volta giudicare le persone per le loro azioni, e non per le lagne, ci accorgeremmo che negli ultimi due anni la classe dirigente della sinistra ha dato prova di una compattezza e di un'abnegazione che altrove non si sono viste. E stiamo parlando di partiti che sono radicati tra i pensionati e i dipendenti, che spesso hanno dovuto turarsi il naso e mantenere la fiducia a un governo che continuava a rosicchiare risorse alle loro categorie di riferimento: il minimo che ci si poteva aspettare era che si lagnassero un po': che altro avrebbero dovuto fare? Sorridere ai loro elettori, mentre tradivano il loro mandato elettorale?

Negli ultimi mesi avevano anche cominciato a federarsi: certo, il processo è stato molto più lento di quello del PD, ma era in corso. Veltroni sostiene che è impossibile governare con 14 partiti: ha ragione, ma ormai nessuno gli chiede questo. Un patto PD+Arcobaleno sarebbe già una notevole semplificazione: dopotutto neanche il bipartitismo americano è stato costruito in un giorno.

Invece al PD hanno deciso che corrono da soli (o al limite con Di Pietro, persona non proprio di sinistra ma perbene, che tende tuttavia a imbarcare con sé i peggiori trasformisti. Ce lo siamo scordati De Gregorio?). Salvo ripensamenti, la Sinistra è fuori. Si è mantenuta disciplinata e compatta per due anni, votando quasi sempre contro i suoi immediati interessi: e non è servito a nulla. Non è servito a niente perdere la faccia con la base elettorale pacifista, votando il rifinanziamento alla missione in Afganistan. Non è servito acconsentire all'innalzamento dell'età pensionabile. In sostanza, l'ex fratello brontolone ha scoperto che in politica i sacrifici e la maturità non pagano. (A sinistra; dall'altra parte c'è Berlusconi che, quando vince, porta un bel cesto di doni per tutti, senza scordarsi di nessuno: qualche sgravio fiscale per i monelli leghisti, un bel condono per gli autonomisti siciliani, e a Gianfranco cosa gli do, mah... un'altra fiction sull'Agro Pontino?) Si gettano qui le basi per la prossima generazione di estremisti duri e puri, che chiederanno l'impossibile ben sapendo di non avere nessuna possibilità di ottenere nulla. Tantovale fare gli eroi, no? Almeno si fa colpo sulle ragazze.

Può darsi che Veltroni ritenga di poter vincere meglio senza il peso di questi lagnosi alleati, che tuttavia rappresentano un pezzo di Paese non piccolo: quello che più ha pagato e pagherà la congiuntura economica. Oppure – e in molti lo hanno suggerito – il PD va da solo non per vincere contro Berlusconi, ma per succhiare voti agli ex alleati, col classico ricatto “o voti per me o ti tieni Berlusconi”. È un ricatto a cui probabilmente cederò anch'io. Col risultato di trovarmi, alla fine, non solo Berlusconi al governo, ma Veltroni leader incontrastato di un'opposizione molto sbilanciata al centro. E questo sarebbe il disastro finale, non tanto per me, ma per la classe sociale di cui faccio parte, e che il PD può rappresentare solo fino a un certo punto.

Può darsi che comunque alla fine lo voti, questo Veltroni cavaliere solitario. Non ne sono ancora sicuro. Sono invece certo di una cosa: nei prossimi due mesi mi lagnerò parecchio. Perdonatemi. Sembra proprio che alla fine io sia più di sinistra di quanto non pensassi.
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giocando all'Italia

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Le nuove avventure di Fesso e Stronzo

"Ciao, ti va di giocare?"
"Va bene, ma a che gioco?"
“Giochiamo all'Italia!”
“Va bene, allora io faccio lo Stronzo e tu il Fesso”.
“Perché tocca sempre a me fare il Fesso?”
“Perché ti viene naturale. Allora, facciamo che governo il Paese”.
“Ma non vale, sei uno stronzo! E rubi anche!”
“Allora faccio una legge che dice che si può rubare”.
“Ma poi la gente lo scopre e non vota più per te!”
“Mah, chissà. Comunque posso fare una legge per cui, anche se perdo le elezioni, chi le vince non riesce a governare!”
“Non riesco a crederci. Come fai ad essere così stronzo?”
“Mi viene naturale”.

[...]

“Comunque hai perso le elezioni! Tie'!”.
“Non ci credo, ricontiamo”.
“Riconta quello che vuoi, tanto hai perso! Hai perso!”
“Sì, ma di poco. È meglio che ci mettiamo a governare insieme”.
“Ma neanche per sogno, ho vinto io e governo io”.
“Vedrai che cadi tra una settimana”.
“E invece no”.
“Vedrai che cadi tra un mese”.
“E invece no”.
“Vedrai che cadi tra un anno”.
“E no, no, no... ops”.
“Aha! Lo vedi che sei caduto!”
“Ma non è colpa mia! La tua legge elettorale faceva schifo!”.
“Non mi frega niente, sei caduto. Rifacciamo le elezioni”.
“Aspetta! Se rifacciamo le elezioni con questa legge schifosa...”
“Vinco io, embè?”
“Ma anche se vinci, farai una fatica matta a governare, come l'ho fatta io”.
“E a te che te ne importa?”
“Ma aspetta, scusa, aspetta un momento! Troviamo un accordo! Facciamo una legge più seria. Così, dopo, se vinci tu...”
“Se vinco io...”
“...puoi governare per cinque anni senza cadere!”
“Non riesco a crederci. Come fai ad essere così fesso?”
“Mi viene naturale”.
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falce e martello addio

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"Ma quanto dolore per quel segno sul muro"

Così come Maometto, in vita sua, non vide né disegnò mai una mezzaluna su un drappo, allo stesso modo Karl Marx non ebbe mai la possibilità di dare un’occhiata al simbolo comunista per antonomasia, l’intreccio di falce e il martello.
Probabilmente l’avrebbe trovato fuori luogo. Una falce, un martello, nel pieno della Seconda Rivoluzione Industriale? Nell’era della fabbrica, dell’ingranaggio, all’alba elettrificata della Catena di Montaggio? Mi piace immaginarlo mentre straccia i bozzetti: non va, non va. Noi siamo comunisti, lottiamo per il possesso dei mezzi di produzione: che senza dubbio non sono più questi qui. Ci vuole qualcosa di più industriale, siamo nell’Ottocento, perdio.

Non è un caso che, dopo una lunga storia separata, la falce e il martello si siano ritrovati per la prima volta intrecciati nella Russia dei Soviet. Non è nemmeno un caso che l’altra patria d’adozione sia stata l’Italia: i due Paesi industrialmente sottosviluppati sui quali Marx non avrebbe mai puntato, e che in un primo tempo erano sembrati terreni più fertili per il verbo di Bakunin. Due frontiere industriali dove a Novecento già avviato era ancora possibile descrivere il lavoro con quei due attrezzi che in Germania, in Inghilterra, erano ormai appannaggio di hobbisti eccentrici: il martello da fabbro, la falce da contadino. E persino in Italia, a dire il vero, i braccianti socialisti con la falce e il martello sulla tessera stavano già lottando intorno alla trebbiatrice. Insomma, il simbolo nasce già vecchio. Ma funziona.

Trasformare gli attrezzi di lavoro in simboli, una bella idea. Si può celebrare il lavoro senza smettere di lavorare? Quella falce non sta falciando, quel martello non inchioda: sono incrociati come le braccia di uno scioperante. È un simbolo ambiguo, e soprattutto è minaccioso. Intrinsecamente minaccioso. La svastica, prima d’incontrare il nazismo, era un semplice simbolo grafico. Poteva rappresentare il ciclo delle stagioni, il sole, e centinaia d’altre cose. Ma la falce e il martello non avevano nemmeno bisogno di essere adottate da Stalin per ispirare una certa soggezione. Una falce alzata fa paura, specie a chi non ne ha mai usata una, e col martello ci siamo tutti schiacciati almeno un dito nella vita. È un simbolo che sa di sangue e sudore, e può piacere anche per questo. Può essere il sangue e il sudore che abbiamo sopportato; oppure il sangue e il sudore che non vogliamo più sopportare; oppure il sangue e il sudore che vi faremo versare, maledetti capitalisti. In ogni caso, è difficile immaginare un simbolo più violento: mi vengono in mente solo la bandiera dei pirati, i cartelli dell’alta tensione e il Kalashnikov sulla bandiera del Mozambico. Ai capitalisti degli anni Venti doveva veramente gelarsi il sangue nelle vene.

Col tempo poi si sa cosa succede: a furia di vedere un simbolo, non ti ricordi più il significato. Inoltre, tutta questa voglia di menar martelli e falci dopo un po’ doveva stemperarsi per forza. Il razionalismo cubo-futurista diede una grossa mano, stilizzando i due arnesi in una cifra astratta, dorata sullo sfondo rosso della bandiera dell’URSS. In Italia Nenni provò a sdrammatizzare appoggiando un libro sullo sfondo. Guttuso invece geometrizzò persino il manico del falcetto, da lì in poi inimpugnabile, e coronato da una stella che lo rendeva curiosamente simile alla mezzaluna islamica. Siccome il pittore era siciliano, la tentazione di ricamare sulla citazione inconscia è irresistibile… ma attenzione, la mezzaluna non era un simbolo islamico ai tempi della dominazione araba della Sicilia: in quel periodo era ancora l’emblema di Bisanzio, adottato forse in onore della dea Artemide. Va a finire che con la scusa di difendere il simbolo del lavoro, stiamo difendendo l’ultima resistenza della dea multipopputa nel nostro inconscio collettivo. Vabbè, scherzo.

Adesso invece sono serio. L’altra mattina il ministro Ferrero, a Omnibus, spiegava che negli ultimi vent’anni i delitti sono dimezzati, mentre gli infortuni sul lavoro si sono mantenuti costanti. A questo punto l’on. Cicchitto lo ha interrotto, accusandolo di fare demagogia.
Demagogia? Ferrero stava semplicemente citando delle cifre. Cicchitto non ha sostenuto che fossero false. Per lui era demagogia semplicemente parlare di cifre. Semplicemente parlare di infortuni del lavoro. È demagogia ricordare che esistono, e che fanno più morti degli immigrati rumeni. È demagogia parlare del lavoro, semplicemente. Gli italiani non sono più un soggetto politico in quanto lavoratori, ma solo in quanto consumatori. Se lavorano, peggio per loro: lo facciano discretamente, senza lamentarsi, e ricordandosi di passare dal centro commerciale prima di rintanarsi nei piccoli bunker domestici. Pensate a come ci ha diviso la vertenza di questi giorni: da una parte un’orda di lavoratori brutti sporchi e cattivi, che blocca l’Italia ai caselli dell’autostrada; dall’altra i poveri consumatori bloccati a casa senza rifornimenti di viveri e benzina. Se siamo arrivati a questo punto, abbiamo clamorosamente perso non soltanto il bandolo del traffico nazionale, ma anche la nostra coscienza di classe.

Il motivo per cui io mi considero malgrado tutto una persona di sinistra, non ha a che fare con la bontà, o con la cultura, o con altre categorie pseudo-veltroniane (che persino il vero Veltroni non merita). Il motivo è semplicemente che io mi ostino a considerarmi per prima cosa un lavoratore, e vorrei continuare a essere un soggetto politico in quanto tale. Per me il discrimine passa di qui: tra i partiti che ti considerano prima di tutto un consumatore da imbonire e quelli che vedono ancora in te un lavoratore da difendere, io scelgo i secondi, e non saprei fare diversamente. In tutte le questioni sulle quali ci accapigliamo, compresa quella in fin dei conti trascurabile di Luttazzi, mi sembra di cogliere in controluce lo stesso problema: c’è chi sta dicendo “non potete licenziare un lavoratore di punto in bianco” e chi dice “ha sbagliato a offendere gli amici del padrone e il padrone può fare ciò che vuole”. Io sto e starò sempre coi primi, perché sono cresciuto con loro e mi trovo bene.
Mentre per molti l’articolo uno della Costituzione è ormai un mantra privo di significato, io credo di aver capito cosa vuol dire fondare una Repubblica sul lavoro, e so che è una frase molto meno rassicurante di quello che appare: significa, come minimo, che chi non lavora non dovrebbe avere voce in capitolo. Se ci pensate, non suona per nulla buono o buonista; piuttosto un po’ rivoluzionario. Più oggi che nel 1946.
Quando pronuncio quell’articolo sento di nuovo, vago ma inconfondibile, quel retrogusto di sangue e sudore, e mi ricordo che per poco il martello non è finito nell’emblema repubblicano: era in uno degli ultimissimi bozzetti. Sarebbe stato un emblema surrealista e vagamente vichingo, il martello alato: ma anche con lo stellone non ci possiamo lamentare. C’è sempre l’ulivo a fianco, che è un impegno di pace, e sotto c’è la ruota dentata, un altro simbolo del lavoro che forse sarebbe più piaciuto a Marx, e regge ancora questi tempi di meccanica di precisione.

Quello che invece non condivido coi miei compagni comunisti e verdi ed ex diessini, con o senza falce e martello, è una speranza solida di migliorare la mia e la loro condizione. È un mio grosso difetto, la disperazione, che mi rende in definitiva la persona mediocre che sono. Per quanto mi sforzi di immaginare, continuo a vedere il mercato del lavoro italiano come una piccola ampollina, che poteva carburare discretamente finché non è stata messa in comunicazione con l’enorme cisterna del lavoro asiatico. È per questo che non riesco a stupirmi se in un’ex fabbrica modello di Torino vedo comparire turni massacranti e scomparire gli estintori: è atroce e allo stesso tempo è normale, ci stiamo cinesizzando e nei tempi lunghi non ci possiamo fare niente. Il giorno in cui l’equilibrio dei vasi comunicanti sarà ripristinato, il livello della qualità delle nostre vite sarà comunque sceso di parecchio. E non tutti potranno contare sulle solite scappatoie: la cultura, l’informatica, l’industria del lusso, il turismo. Forse dobbiamo rassegnarci a vivere in un Paese un po’ più povero, in cui il pane costerà di più, la benzina costerà molto di più, e non tutti i figli degli operai potranno fare gli ingegneri. Allora dovremo raccontare ai nostri figli una favola ben diversa da quella che i nostri padri hanno raccontato a noi. E non saranno molto contenti – i nostri figli, intendo. Del resto lo si vede già, da certe facce in giro.

Se poi ho una speranza al mondo, è proprio quella di sbagliarmi. Il simbolo che preferirei lasciare alle nuove generazioni, malgrado tutto, resta sempre quel famoso Sole dell’Avvenire. Ma la vedo dura, che ci posso fare.
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la commissione, tenetevela

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Ci sono tanti motivi per prendersela con questo Parlamento. Francamente, ce n’è troppi. Suggerirei pertanto di concentrarsi sui più eclatanti, senza allungare ulteriormente la lista.

In altre parole: ma sul serio vi rimane un po’ d’indignazione da impegnare in una scemenza come la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sui fatti di Genova? Ma Buon Dio. Indignatevi per i torroncini di Mastella. Per la compravendita di senatori. Per la compravendita di Capezzone, che manco è senatore… probabilmente se lo sono trovati incellofanato in un’offerta speciale (bella sòla). Indignatevi per Veltroni che, incapace di illuminare le vie pedonali di Roma Centro, se la prende col presidente della Romania. Indignatevi per questi e mille altri motivi… ma non per la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sui fatti di Genova. Che è una scemenza. Devo anche spiegarvi il perché?

Cinque motivi per cui la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sui fatti di Genova è una scemenza, e discuterne una sconsiderata perdita di tempo ed energie

0. Premessa.
Io a Genova c’ero. Non avrei sopportato di non esserci. Sono uscito dalle Diaz cinque minuti prima che ci entrassero i carabinieri. Un ragazzo che conosco è stato a Bolzaneto. Come tutti, chiedo giustizia. Ma a chi? Di sicuro non a una Commissione Parlamentare. Almeno per ora.

1. Meglio i giudici, grazie.
Tecnicamente, la giustizia la fanno i giudici, applicando le leggi. Io non credo di vivere nel miglior Paese del mondo coi migliori giudici del mondo. Per esempio, i pubblici ministeri che hanno chiesto da 6 a 16 anni anni per un gruppo di dimostranti mi sembrano alquanto esagerati. In generale, comunque, conservo un maggiore rispetto nei confronti della giustizia che della politica: voi no? Preferite che arrivi una commissione di senatori e deputati bipartisan a interferire su procedimenti ancora in corso? Vi dispiace così tanto che questo non possa succedere? Siete ben strani.

2. Chi paga?
Provate un po’ a indovinare chi finanzierebbe i lavori della commissione. Eh, certo, dopo cinque anni in cui avete pagato gli extra a quel fine segugio di Paolo Guzzanti per indagare sulle sedute spiritiche di Prodi, l’idea di non finanziare più una commissione di politici detective vi pesa. Posso capirvi. Allora fate così: andate in banca, ritirate i vostri risparmi in mazzette da cento, e dategli fuoco sulla pubblica piazza (Per inciso, la commissione di Guzzanti ha stabilito che Prodi è uno pseudo-agente del KGB. Questo sì che è spender bene i nostri soldi, no?)

3. Precari di lusso
Se non erro, una Commissione Parlamentare dura finché dura il Parlamento. Non è un mistero per nessuno che l’attuale legislatura stia appesa a un filo. E se Prodi cadesse domani? E se ci si riducesse a votare in febbraio o marzo? Stiamo a fare tutto questo baccano per una Commissione d’Inchiesta che rischia di non fare in tempo a riunirsi? Se anche – per una coincidenza assai remota – i componenti di siffatta Commissione fossero tutti parlamentari onesti, seri, e consapevoli del proprio ruolo, pensate che possano lavorare bene in una situazione in cui qualsiasi seduta della Commissione potrebbe essere l’ultima? Che razza di inchiesta ci salterebbe fuori? Probabilmente un'inchiesta affrettata e superficiale. Ne avremmo veramente bisogno. Così, se un giorno si verificassero le premesse per fare un'inchiesta seria, probabilmente ci sentiremmo rispondere: "Grazie, no. C'è già quella affrettata e superficiale fatta durante il Prodi II, e ce la teniamo".

4. “Ma c’era nel programma”.

Ecco, appunto, ditelo. Ditelo, che a questo punto la Commissione è semplicemente un punto d’onore. Vi hanno tolto uno scalino, un ministero o un sottosegretario, e voi v’aggrappate alla Commissione. Che poi questa Commissione funzioni o no, v’interessa relativamente. Il punto è che voi avete diritto a un contentino.
Vogliamo ricapitolare un po’ la situazione? È vero, la Commissione era nel programma elettorale. Con quel programma (lunghissimo, impraticabile) Prodi ha vinto le elezioni. Di striscio. Dopo qualche mese ha perso la maggioranza in Senato e si è dimesso. In seguito è stato nominato di nuovo da Napolitano, ma con un programma di soli 12 punti, sottoscritti dalla maggioranza. Una maggioranza lievemente diversa da quella delle elezioni (fuori De Gregorio, dentro Follini). In quei 12 punti la Commissione d’Inchiesta su Genova c’è? No. E allora? Perché facciamo finta che in febbraio non sia successo niente?
La situazione è pessima, ma non così difficile da capire. L’unica maggioranza possibile in questo momento in Italia è appesa a un filo. Se cade, si va alle elezioni con una legge orribile, che probabilmente creerà un’altra maggioranza appesa a un filo. A questo punto, o si tira innanzi cercando di rimettere a posto la legge elettorale, o si va al voto e amen. Prodi ha deciso di tirare innanzi. Si può discuterne, ma chi ha votato la fiducia a Prodi in febbraio ha deciso di seguirlo. E ha sottoscritto i 12 punti. Se si accetta l’idea di governare con un voto di scarto al Senato, si accetta anche il fatto che non sempre c’è margine per i contentini. Nel caso della Commissione d’Inchiesta, non c’è. E non mi sembra nemmeno una grande tragedia. Se ne consumano ben altre, negli stessi giorni e nelle stesse stanze.

5. Così è se vi pare
Ma fingiamo di nuovo che tutto possa funzionare: che la Commissione d’Inchiesta, formata da parlamentari onesti seri e consapevoli, riesca a portare a termine un’inchiesta decente entro i termini della legislatura. Pensate che potrebbe giungere a una verità condivisa? Perché in realtà è questo l’unico senso di una Commissione di questo tipo: mettere nero su bianco quello che è successo a Genova, in una forma che possa essere condivisa da tutti. Ve l’immaginate?
Pensate ai parlamentari più seri che conoscete. Di destra e di sinistra. Chiudeteli in una stanza e immaginateli mentre discutono del G8. Pensate che ne possa uscire qualcosa di buono? Un’inchiesta parlamentare di questo tipo, nel 2007 (o nel 2008, o nel 2009), nel migliore dei casi si concluderebbe con due relazioni. La relazione di maggioranza stabilirebbe più o meno quello che sappiamo già, perché lo ha scritto Amnesty: quello che è successo a Genova nel luglio del 2001 è la più grave sospensione dei diritti civili nel dopoguerra. La relazione di minoranza spiegherebbe invece che i poliziotti e i carabinieri, accorsi in massa per evitare gli attentati di Bin Laden, sono stati attaccati dai comunisti cattivi e si sono difesi come potevano. Così in capo a un anno o due avremmo strapagato una dozzina o più di parlamentari per ottenere esattamente quello che avevamo all’inizio: due verità per due Italie diverse. Che tra loro ormai non si parlano più. Guardano gli stessi filmati e capiscono entrambe solo quello che vogliono capire. C’è davvero bisogno di scomodare una commissione per tutto questo?

Un giorno si farà, la Commissione. Spero non sia domani. Quando la giustizia ci avrà portato già qualche sentenza definitiva. Quando avremo un governo un po’ più saldo, in grado di non flettersi ad ogni venticello parlamentare. Quando Fini sarà definitivamente fuori dai giochi – sicché si potrà anche invitarlo in Commissione e fargli un paio di domande: Come mai era a Genova? A che titolo ha passato in rassegna le forze dell'ordine? Perché lei sì e il Ministro degli Interni no? I poliziotti non le sembravano un po' eccitati? Ha sentito parlare anche lei dei gavettoni di sangue infetto? Ha perso un po’ di tempo a spiegare che si trattava soltanto di una leggenda urbana? Eccetera eccetera.
Quella sì che sarà una grande commissione d’inchiesta. Ma ha da passare una nottata.
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il problema non è parlare di Grillo

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Il problema è non parlare di Veltroni

Chiedo scusa, ma non c’è niente da fare.
Questa sensazione settembrina di compiti da fare in arretrato non se ne va, non se ne andrà, finché non avrò scritto anch’io qualcosa su Beppe Grillo. Cercherò di non dire banalità, ma sarà dura.

“E tu che hai un blog, ci sei andato a Bologna?”
Sì: in questi giorni capita d’incontrare persone che t’iscrivono d’ufficio al partito di Grillo per il semplice motivo che hai un blog. Se poi sapessero che hai un’auto, e che anche Mussolini amava guidarla…
Peraltro, come nessuno è profeta in patria, nemmeno Grillo può vantare molti seguaci tra i blog. Come ha ben spiegato Mantellini, nel mondo dei blog italiani il sito di Grillo è un’enorme isola che non comunica col resto del mondo: il problema è che quest’isola è più frequentata di tutto il resto delle terre emerse. È frustrante, sì.
E tuttavia è pur sempre un blog che sta ispirando i titoli dei tg e dei giornali: la prova che il web italiano è diventato uno spazio importante, anche se è uno spazio usato ancora in modo rudimentale. Proprio mentre parla di partecipazione dei cittadini, Grillo produce un sito assolutamente monolitico in cui Lui parla e gli altri possono solo ascoltare. Il web 2.0 condivide, socializza… Grillo detta la linea. È come attaccare un’automobile ai buoi.
Fatto è che in Italia in questo momento attaccare un’automobile ai buoi funziona. Forse è il modo migliore di spostarsi, visto che le strade asfaltate sono ancora inaccessibili, o comunque poco conosciute e frequentate. Il problema (ma non sono nemmeno sicuro che sia un problema) è che la politica in Italia è sempre un discorso di massa, e le masse, in un meccanismo delicato come il web 2.0, forse non ci entreranno mai. Non ce le vedo le masse a realizzare un programma politico via wiki, come stanno facendo iMille, per esempio.

“Sì, ma tu poi di Grillo cosa pensi?”
Io credo che sia in buona fede. Non lo vedo nel ruolo di attentatore alle istituzioni democratiche. Secondo me è assolutamente convinto di lavorare per il bene del Paese, oltre che per un modesto tornaconto personale. È precisamente queste buona fede che lo rende così pericoloso.
Credo anche che sia un po’ più furbo di quanto non sembri. Due delle tre proposte di legge per cui ha raccolto le firme non hanno nessuna possibilità di passare in Parlamento (una è probabilmente anticostituzionale: un condannato che ha scontato una pena torna in possesso dei suoi diritti civili e politici, e quindi nessuno può impedirgli di candidarsi). Allora perché ha mobilitato milioni di persone per un’iniziativa di legge popolare che è destinata ad arenarsi alle camere? È chiaro che pensa già alla fase due: la fase, appunto, in cui i parlamentari saranno costretti a bloccare le sue proposte benedette dal bagno di folla di Bologna (non potrebbero fare diversamente).

“Era una trappola?”
Direi. Che speranza possono avere, quelle proposte di legge, al nostro parlamento? Se non sono anticostituzionali, comunque fanno a pezzi l’establishment: la proposta di mandare a casa i parlamentari dopo due legislature è una pura e semplice provocazione. Si può essere d’accordo o no (io no), ma quale senatore o deputato oserebbe votare una cosa del genere? Nessuno vota per la propria autodistruzione. E Grillo lo sa benissimo. Il suo obiettivo non era fare approvare le sue proposte. Il suo obiettivo è portare a un grado massimo l’indignazione popolare, e quando le leggi si areneranno tra Camera e Senato, ci riuscirà.

“La vittoria dell’antipolitica…”
Io lo trovo molto politico, invece. Se la politica è astuzia e strategia, con questa storia delle proposte di legge è riuscito a mettere in sacco un bel po’ di mummie molto più navigate di lui. Se la politica consiste nel saper intercettare il sentimento popolare, beh, non lo trovo molto inferiore a Bossi o D’Alema. Non è politico perché non crede nei partiti di oggi? Non ci credevano neanche Fassino o Rutelli, se hanno appena sciolto i loro partiti. L’unica differenza, evidenziata da Luttazzi, è che Fassino e Rutelli comiziano gratis, mentre Grillo si fa pagare. Il che, da un punto di vista meramente economico, significa che Grillo è un oratore di gran lunga superiore.

“Quindi tutto bene. Viva Grillo…”
No, Grillo è il sintomo della prossima sconfitta del centrosinistra. Anzi. Facciamo dei nomi. Grillo è il segno della sconfitta di Veltroni. Non della sconfitta alle primarie, che vincerà in souplesse. Ma la sconfitta politica. Veltroni doveva recuperare al PD un’ampia fetta di elettorato di centrosinistra delusa da Prodi, da D’Alema, dal carovita, dal TAV, da qualsiasi cosa. Questa era la missione di Veltroni: il famoso valore aggiunto tra Ds e Margherita.
Invece Veltroni ha fatto una bella orazione ecumenica al lingotto, poi è partito per i mari del sud, è tornato molto abbronzato, e con la scusa di evitare le polemiche da bassa politica ha praticamente evitato la politica. C’è stato un appassionante dibattito sulla sicurezza; lui è il sindaco di una città assediata da ubriachi internazionali; vi ricordate esattamente la sua presa di posizione? E meno male che era un gran comunicatore. La sua strategia in questi giorni mi sembra ispirata al migliore Gianfranco Fini: silenzio e raggi UV. Certo, meno parlano, meno dicono cazzate: intanto però Grillo parla e riempie le piazze.

In quelle piazze, nel settembre 2007, avrebbe dovuto esserci Walter Veltroni. Avrebbe dovuto avere parole di speranza per chi paga troppo il pane e l’Ici. Avrebbe dovuto trovare la quadra tra i lavavetri e gli automobilisti frustrati. Avrebbe dovuto essere populista e ragionevole, e tirare bordate al vecchio establishment. E invece al momento è ammiraglio di una corazzata arrugginita sulla quale sono saliti tutti: D’Alema, De Mita, Rutelli, tutti. C’è anche Fioroni. Fioroni è il ministro dell’istruzione che qualche settimana fa è andato al meeting di Rimini ad annunciare che lo Stato avrebbe pagato a mamma e papà il liceo privato del figliolino. Un altro bel buco nel bilancio dell’istruzione pubblica, ma probabilmente ha conquistato 15 voti a Formigoni. Ecco, gli uomini di Veltroni sono questi qui. Se la gente non è entusiasta, se si butta sul primo comico che non le manda a dire, la responsabilità è anche sua.

“Quindi Grillo fa più proseliti al centro-sinistra?”
Mi sembra di sì: al centro-sinistra e al centro-nord. Lo scrive Ilvo Diamanti e io stavolta mi fido. Vado più in là: a me sembra che ci sia una continuità tra il grillismo, i girotondini, una parte del movimento di Genova (quella più moderata, intorno alla Rete di Lilliput) e più su, più su, fino a quelli che manifestavano contro il colpo di spugna e raccoglievano le firme con Segni e Orlando. Sono diplomati e laureati, prevalentemente impiegati e insegnanti, che hanno vissuto venti o trent’anni in un Paese di furbi dove sembra che paghino le tasse soltanto loro. Oscillano abbastanza comprensibilmente tra rabbia e speranza. Finché c’è Berlusconi a coalizzare la loro frustrazione, sfoggiano adesivi e spillette anti-nano; quando Berlusconi se ne va, e l’Italia non diventa immediatamente il Bengodi degli Onesti, diventano matti: non sanno nemmeno più in cosa sperare. Comprano “La casta”, proprio come nel 2001 compravano “L’odore dei soldi”. Si buttano su Grillo, che li capisce perfettamente. E vuoi sapere la cosa più incredibile?

“Dai, dimmela”.
La cosa più incredibile è che questa sacca di malcontenti, quando è alle strette, si rifugia storicamente sempre sotto la stessa bandiera: la Costituzione. Quando Berlusconi si faceva le leggi ad hoc, loro lottavano in nome della Costituzione. Le botte di Genova furono criticate in nome della Costituzione. E anche adesso, gli strumenti usati da Grillo per rivoltare la politica come un calzino sono perfettamente costituzionali: una legge di iniziativa popolare, liste civiche, eccetera eccetera. Questo secondo me è il vero limite di questo movimento: la carta costituzionale come inizio e fine di ogni cosa, quando è proprio la stessa carta a sancire lo strapotere del parlamento. Questo è anche il motivo per cui, periodicamente questo movimento deve morire e reincarnarsi in qualcosa di nuovo: i suoi rappresentanti presto o tardi devono entrare in Parlamento, o almeno in un consiglio comunale: ma appena varcano la soglia, diventano i nemici, che siano Pardi o Cofferati. E si riparte con qualcosa di nuovo. Perciò non credo che Grillo si candiderà. Sarebbe la sua fine.

“E allora cosa succederà?”
Non lo so. È probabile che le liste civiche col bollino di Grillo abbiano un buon successo. Questo potrebbe risultare persino positivo, se contengono nomi davvero nuovi. In fondo è quello che vogliamo tutti, no? Nomi nuovi. A quel punto i dirigenti del Pd se la faranno addosso, e prometteranno ponti d’oro. Questo potrebbe essere anche il momento in cui D’Alema o De Mita decidono di pensionarsi, per il bene della collettività. Se a quel punto anche Grillo manterrà una posizione marginale, finalmente avremo un ricambio di classe dirigente in seno al maggiore partito del Paese. Però mi sembra una strada impervia. Avrei preferito che il rinnovamento cominciasse all’interno del Pd: contavo molto su quello che avrebbe fatto Veltroni. Forse avevo frainteso un certo suo piglio presidenziale.
Sono passati quattro mesi e Veltroni non ha fatto nulla. A questo punto Beppe Grillo ce lo meritiamo.

“Parlando d’altro: ti piace la radio?”
Da matti.

“Anche a Hitler. Non è per caso che…”
Ma vaffanculo, va.
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"da poveri eravate più allegri"

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Not so gay anymore

Io sono convinto che per gli omosessuali italiani, negli anni Ottanta, ci fosse poco da stare allegri. Una buona parte di provincia, tanto per cominciare, non era ancora ben uscita dal medioevo. I brutti scherzi erano più brutti, le violenze più violente, i silenzi erano veramente silenzi. E poi c’era ancora il servizio di leva – oppure venti mesi di civile. Non solo, ma a un certo punto i tuoi amici cominciavano a morire come mosche, e i preti a suggerire che te l’eri meritato. A pensarci, dieci anni d’inferno.

Eppure sono stati gli anni in cui abbiamo davvero cominciato a chiamarli gay. Che in italiano voleva proprio dire gai, felici, spensierati. Cosa avessero da ridere, in effetti non si sa. Però me li ricordo così.
Mi ricordo la musica, che per molti anni è stato l’unico mio approccio alla cultura gay. Quella di metà anni 80 sembrava in mano a un cartello di gay – per carità non tutta, soltanto quella divertente. Quel pop di plastica che sembrava non dover durare e invece oggi riempie le piste di gente nata in seguito, quei pezzi sciocchi e irriverenti che adeguavano il punk alla festa delle medie. E poi la moda. Anche quella a suo modo irriverente, innovativa – gay.

È un luogo comune, anzi un sistema di luoghi comuni. I gay e gli anni Ottanta – gli spensierati anni Ottanta – la spensieratezza dei gay. Mi rendo conto che tutto questo è illusorio, che molti omosessuali nello stesso periodo non ballavano Baltimora né indossavano Versace, ma stavano nascosti e soffrivano molto. Ma da qualche parte nel mio cervello si è annodato questo concetto: Gay=Felice. Tom Robinson ai concerti cantava Sing, if you’re glad to be gay. Sing if you’re happy that way. Sembrava allegro e sardonico. A rileggerla, la canzone è una sequela di violenze, censure, repressioni poliziesche. Ma Tom sembrava ancora allegro di ballare sulle rovine.

Oggi le cose vanno un po’ meglio. Non tanto, lo so: appena un po’ meglio. C’è persino una quota di personaggi gay nelle fiction Rai. A scuola si fanno ancora brutti scherzi; la differenza è che se ne parla, che esistono le parole per parlarne. Non c’è più il sevizio di leva. E non si muore più così tanto. E i gay non sono più così gai. Sono tristi. Musoni e incazzati.

A loro discolpa, non sono i soli. Se gli 80 sono stati gli ultimi anni della Maggioranza Silenziosa, che aveva bisogno di minoranze strane come un’enorme massa di pastasciutta insipida che implora almeno una spezia piccante, gli anni Zero sono quelli delle Minoranze Petulanti. Apparteniamo tutti almeno a una di queste minoranze oppresse, senza diritti, senza futuro. Abbiamo tutti un motivo per marciare su Roma. Ci sono i padani e gli stranieri. I giovani precari e i giovani industriali – poveri giovani industriali! I no-tav, i no-nato, i no-monnezza, e hanno tutti la loro parte di ragione. Ci sono i cattolici, fino all’altro ieri zoccolo duro della Maggioranza Silenziosa, oggi felicemente riciclati in minoranza ringhiosa pro-famiglia e anti-aborto. Perché non dovrebbero fare lo stesso i gay? Peraltro, loro sono davvero discriminati: le loro battaglie sono sacrosante.

A volte mi chiedo dove ho vissuto tutti questi anni. Per buona parte della mia vita non mi sono nemmeno reso conto che i gay lottassero per i loro diritti civili. Il gay pride del Giubileo mi era sembrata soprattutto una grande festa identitaria. Probabilmente non capisco nulla. Ma ho una sensazione.
C’è stato un momento, ed è stato recente, in cui i gay hanno definitivamente smesso i panni allegri e festaioli e la questione dei diritti civili è diventata prioritaria.
Secondo me il processo è andato di pari passo con la formazione del Partito Democratico. Lento, per molti anni sotterraneo, proprio come il PD. Voi dite: ma che c’entrano esattamente i diritti degli omosessuali con il PD? Nulla, appunto. Di tante questioni sul tavolo, quella dei diritti civili dei gay sembra fatta apposta per rendere impossibile la nascita del PD. Basta prendere due elettori-tipo della Margherita e dei DS, e fargli un po’ di domande: che ne pensi del mercato? Che ne pensi della guerra al terrore? Che ne pensi dei migranti? Le risposte saranno indistinguibili. C’è solo una domanda che permette di discriminare: pensi che i gay abbiano diritto a crescere dei figli?

Non voglio entrare nel merito della questione, che è spinosa. Voglio solo chiedere: chi l’ha detto che questa domanda sia prioritaria? Che debba venire prima delle domande sull’economia, sulla guerra, sui migranti? Davvero due persone che sono d’accordo su tutto tranne che su questo non possono militare nello stesso partito? Io posso anche sostenere che i gay siano discriminati: ma i migranti lo sono anche di più. Oggi si discute di voto agli stranieri un decimo di quanto non si chiacchieri di DiCo e laicità. A chi conviene? Chi è che continua a riaprire la questione? A chi giova continuare a parlarne?
Giova ai vescovi. Giova alle sinistre. Giova, in pratica, a tutti quelli che non hanno interesse alla nascita del PD. E agli omosessuali giova? Direi di no. La soluzione al problema non è in calendario. In calendari si sono soltanto estenuanti discussioni pro e contro, proposte di legge soffertissime destinate all’impallinamento parlamentare, cortei e controcortei, piazze e contropiazze. La questione “gay vs famiglia naturale” è semplicemente il punto scelto dai nemici del PD per farlo a pezzi. Perché proprio quel punto? Perché era il più fragile.

Dopodiché pazienza: io non so nemmeno se l’avrei votato, questo PD. Ma mi spiace vedere tante persone scegliere (in buona fede) il fronte sbagliato per combattere. Se vi dico che la battaglia per il riconoscimento di alcuni diritti elementari va spostata ancora di una generazione, non prendetemela con me. Non dipende certo da me. Io scrivo solo quel che vedo: e vedo che nessuno è in grado di risolvere la questione. La questione è sul tavolo soltanto perché serve a far saltare il tavolo. E allora?

Per una volta che riesco a non cambiare idea per qualche mese, permettetemi di citarmi addosso: “io non credo che i DiCo siano una priorità. La priorità è la cultura. In Italia non ce n’è ancora abbastanza per tutti. Ce ne deve essere di più […] D’accordo che bisogna tutelare le minoranze, ma ricordiamoci che sotto il pelo dell’acqua c’è una quantità enorme di persone che potrebbe essere gay ma non lo sa, o non lo dice, o non lo ammette, perché non ha avuto a disposizione gli strumenti per capirlo, o per accettarlo. Questi strumenti sono culturali”.

I gay della scorsa generazione avevano una vita più difficile. Ma scrivevano, disegnavano, cantavano, offrivano cultura a tutti. È stato grazie a loro che milioni di italiani hanno imparato che gli omosessuali non erano maniaci pederasti, ma persone normali, dotate e sensibili. Ed erano anni difficili. Peggiori di questi. Io credo che il loro esempio vada seguito – non solo dalla minoranza dei gay. Mi sembra una buona lezione per tutte le minoranze. Cantare, stare allegri, invitare tutti alla propria festa. Per quanti problemi noi possiamo avere, siamo ancora al mondo e siamo felici così. Non orgogliosi: felici. Com'è che si diceva una volta? Gay.
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fammi andar fuori, come una vescica al sole

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Proud to be dumb

Erano un milion
e, erano un milione e mezzo, ma che importa? Se l'Italia è il paese delle mille parrocchie, un milione non è nemmeno un granché. Forse i politici di sinistra avrebbero dovuto reagire facendo spallucce: un milione? Tutto qui? E i quotidiani di sinistra avrebbero dovuto titolare: Appena un milione a San Giovanni. Perché la battaglia delle idee si combatte così.

E invece no, un milione è tanto. Tantissimo. Perché va confrontato con un altro dato: i signori che sono andati in Piazza Navona perché orgogliosi di essere laici. Qualche migliaia di orgogliosi. Complimenti. Una curiosità: chi vi ha invitati? Da chi è partita l'idea? Tiro a indovinare: i radicali. Sempre così intelligenti. E così pochi. Così orgogliosi di essere in pochi a essere intelligenti. Tanto orgoglio e tanta intelligenza, non c'è dubbio, in Piazza Navona ci stavano stretti.

E' un po' come parlare del Sole. Sapete quanto è grande il Sole? Potrei darvi un numero, ma non vi direbbe nulla. Invece vi faccio vedere una foto: c'è un pezzo di sole, e un puntino azzurro a destra. Il puntino azzurro è la Terra. Ecco: adesso avete un'idea di quanto sia grande il Sole. Per farvi un'idea della sua grandezza, vi serviva un punto di riferimento. Qualcosa di relativamente molto piccolo.

Ora sapete anche quant'è forte il familismo militante cattolico in Italia, o, se preferite, quanto sia debole l'orgoglio laico. Il primo riesce a mobilitare mille volte più persone del secondo, nella stessa unità di tempo e in uno spazio contiguo. Se era una gara, l'orgoglio laico l'ha persa mille a uno. Chi dobbiamo ringraziare per questo bel risultato?

I radicali. Se non esistessero, andrebbero inventati. E siccome quantitativamente, oggettivamente, non esistono, ogni tanto io me lo chiedo: ma chi è che li inventa? E perché lo fa? E perché c'è sempre qualcuno così orgoglioso da cascarci? Mah. La mia risposta alla domanda è Mah.
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continua da sempre

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Il congresso interiore

Mozione #424
Ma voi rammentate di quell’uomo barbuto che qualche anno fa, invitato a salire su un palco, stupendo sé stesso e gli altri disse: Con questi qui non vinceremo mai? E dietro di lui c’era Rutelli, c’era Fassino, D’Alema, uomini d’apparato lividi e grigi. Ma l’uomo con la barba che fine ha poi fatto? Fa il regista, no? Fa i film?
Li facesse belli, almeno. Invece l’altro ieri c’era il congresso di Rutelli, il congresso di Fassino, tutti a dire quanto siamo bravi noi dell’apparato, che adesso smontiamo l’apparato. Eh, ma infatti. Dove lo trovi un apparato che ha il coraggio di smontarsi da solo?
E insomma concludendo, compagni dopolavoristi della politica, io credo che questa tornata di congressi abbia sancito la fine dei girotondi, degli scalfarini e degli scalfarotti, e di chiunque si provi a tuffare nella politica per hobby quando ha già un altro mestiere. Non siamo mica più negli anni Settanta, che potevi lasciare il lavoro per un paio d’anni e riprenderlo con calma. Qui devi attaccarti a tutto, o perdi il pubblico, perdi il contratto, perdi la famiglia. E l’apparato vince. L’apparato si smonta, si riprogetta e si rimonta a piacimento. L’apparato si stipendia e si gratifica. L’unica cosa che l’apparato non riesce a fare è prepensionarsi, e infatti il punto è, compagni: quanto dobbiamo pagarli perché si levino dai coglioni? Ho terminato, grazie, scusate.

Mozione #425
Compagni, sono molto stupito di me stesso. E insomma io sono prodiano dentro, prodiano di ferro, prodiano nel dna, e il Partito Democratico è la summa di tutto quello in cui ho creduto sin da quando ero un bambinetto sveglio. E allo stesso tempo l’attuale Partito Democratico è il consesso di tutti i personaggi che mi sono stancato di votare. Mi guardo allo specchio e vedo mio padre quando gli toccava votare per il partito di Forlani e Andreotti. Davvero siamo arrivati a questo? Alla balena rosa?
E vota Mussi, direte voi. Ma compagni, se Mussi riuscirà a vendermi Boselli, ha sbagliato mestiere, doveva battere le province coi flaconi d’acqua miracolosa. E se invece andrà con Bertinotti, sarà l’ennesimo partito di gente di cui non mi fido. E se andasse con Diliberto. O con Pannella. E insomma, la sinistra è libera di aggregarsi e disgregarsi e riaggregarsi di nuovo, purché non tenti di piacermi. E perde anche per questo motivo! (Applausi)

Mozione #426
…Dici bene, compagno: ma poi si andrà a votare, il nemico sarà ancora Berlusconi, e tu sarai pronto a far la croce su qualsiasi stemmino, anche uncinato. Siete fatti così! voi prodiani siete fatti così. Stalinisti di ritorno, avete fatto ore di fila alle primarie del 2005 per eleggere il candidato dell’apparato. E allora di che vi lamentate? Preparatevi a eleggere il vostro amato leader. Chi è? Ve lo stanno per dire, ancora alcuni mesi e scoprirete di averlo sempre amato.

Mozione #428
Io credo che siamo tutti schizzati, qui, tutti interiormente divorziati. Un divorzio tra Io teorico e Io pratico. Cerco di spiegarmi (brontolii).
Abbiamo tutti un Io teorico, che si concede teorie sperimentali e critiche forti all’apparato. Questo Io teorico coglie la società postcapitalista in tutte le sue contraddizioni più o meno scoppiate o in via di scoppiamento. Intanto l’Io pratico va a lavorare, paga le imposte, e desidererebbe migliorare la sua vita secondo il pattern vetero-borghese: migliori servizi, anche però meno tasse, sicurezza nelle strade, no all’inquinamento ma con moderazione, ecc. ecc.
Se potessero votare in cabine separate, probabilmente l’Io teorico si disperderebbe in qualche listina di sinistra, mentre l’Io pratico aspira al grande Partito Democratico. Quindi a un certo livello si direbbe (paradossalmente) che l’Io Pratico è più intelligente: sa che l’attrito con la realtà è ruvido ma necessario.
Nel frattempo il pianeta muore di caldo, come un bambino in una macchina lasciata nel parcheggio da un Io pratico troppo pratico e troppo indaffarato, e l’Io teorico lo sapeva! Lo sapeva da vent’anni! E allora chi è il vero furbo, alla fine?
Nessuno dei due. Bisognerebbe ricomporre la schizofrenia. Farla finita con una certa falsa coscienza moderata che ci ha portati con moderazione e giudizio alla secca del Po nel mese d’aprile. Basta. Non è più tempo di pace sociale, siamo alla catastrofe ambientale e sociale! Compagni! Dobbiamo rimettere in campo il nostro Io teorico! Sperimentare teorie nuove, smontare tutto quanto! O saremo invasi dalle cavallette (lo portano via)

Mozione #429
...Allora sono andato a dare un'occhiata al mio pantheon, e ci ho trovato poco di utile, forse solo questa frasetta di Italo Calvino.
“Credo giusto avere una coscienza estremista della gravità della situazione, e che proprio questa gravità richieda spirito analitico, senso della realtà, responsabilità delle conseguenze di ogni azione parola pensiero, doti insomma non estremiste per definizione”.

È un’intervista a Nuovi Argomenti. Onestamente non so dirvi quale fosse la grave situazione del 1973, perché dal mio seggiolone tutto mi sembrava interessante piacevole e colorato. È di oggi che quelle parole mi parlano: oggi che ogni cosa è grave, io da elettore moderato reclamo il diritto ad una coscienza estremista. Forse la mia è la stessa schizofrenia di cui parlava il compagno qui sopra.
E insomma, il fatto che siamo persone di buonsenso e ragionevoli, non significa che non dobbiamo avere analisi chiare e trancianti.
Compagni non dico che non dobbiamo andare a caccia di consensi, e che questo terreno di caccia non debba essere il Centro, come sempre. Dico un’altra cosa: per quanto gentili e moderati, noi dobbiamo sapere che abbiamo ragione, e loro torto (Grida di forte disapprovazione).

Mozione #430
La conquista del Centro. Sono 15 anni che i DS guardano al Centro. Poteva avere un senso quando al centro c’erano solo schegge di democristiani e socialisti. Ma poi è nata la Margherita: che senso aveva fare la concorrenza alla Margherita? Forse che il Gruppo Fiat si fa concorrenza da solo negli stessi segmenti, l’Alfa contro la Lancia? Lo fa? Oh, beh, non vuol dire.
Ma adesso che dopo infiniti corteggiamenti se la sono mangiata, questa Margherita, lo capiranno che è ora di andare a caccia di consensi a sinistra? Che è là che c’è il vero movimento? Che è solo là che ci sono le idee?
Perché al centro non ci sono idee. C’è solo tanto, tanto buon senso. Quello che sta soffocando il mondo, come ha detto il compagno poco fa.

Mozione #431

Voi dite tanto, eppure io credo che l’intelligenza sia sopravalutata. Sì, sì, fischiate, sì. Leggevo giusto l’altro ieri un’intervista a un politologo francese. Un’analisi raffinatissima delle elezioni francesi che si concludeva con “…purtroppo vincerà Sarkozy”. E lei per chi vota, gli chiede l’intervistatore? E lui spara uno di quei candidatini d’estrema sinistra.
Per dire che se fossero tutti intelligenti e raffinati come lui, in Francia, al ballottaggio ci mandavano di nuovo Le Pen. E invece si sono fatti un po’ più stupidi: complimenti.

(Continua fino all’esaurimento della civiltà occidentale, portate un po' di pazienza)
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Identificato il mandante

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Il complottardo

È un tipo come te, come me. A volte siamo io o te.
Quando il governo è caduto, ci siamo rimasti male. Che il governo non ci soddisfacesse era naturale, ovvio, quasi programmatico. Ma che Prodi dovesse andarsene a casa dopo nove mesi per un equivoco, un Turigliatto, un errore di conteggio, un De Gregorio, un Pallaro, una palla, écche diamine, no.

Dopodiché? Scenario 1, si torna al voto, con Berlusconi ancora abbastanza in forma. Brutto lavoro. Scenario 2, resta Prodi, ma svolta un po’ al centro. Per cui dai, tutto sommato poteva andare peggio. Ma non festeggeremo certo, io e te, se dal centro-centro-sinistra si svolta al centro-centro-centro-sinistra. E tutto per cosa? per un equivoco, un Turigliatto, di un errore di conteggio, di un De Gregorio, di un Pallaro, di una palla? È possibile viverla così? No, non è possibile.

È a quel punto che scatta il complotto. Io e te ci troviamo in un bar, o su un blog, o in qualunque posto, e cominciamo a raccontarci che è stato tutto un complotto. Di chi? Ma di D’Alema, naturalmente. Con quell’aria un po’ così, con quei baffetti lì, vuoi che non passi il tempo a complottare? E beh, certo: prima promette di dimettersi se in Senato non passa il suo documento; poi minaccia la caduta del governo intero; e infatti il governo cade. È chiaro che c’è un complotto.

E Prodi? E non vuoi che non fosse d’accordo pure Prodi? Certo, lui è nove mesi che giura che il governo durerà una legislatura; però intanto complotta per cadere; prima cade, prima può risorgere più bello di pria. Non fa una grinza. E valeva ben la pena di dimettersi, no?, per conquistar Follini.

Si capisce che ci vuole un po’ di fantasia per trasformare questo anziano professore, un po’ ottuso nella sua ostinazione a governare con un voto di scarto, in un genio del male aduso a complotti e machiavellici infingimenti (profetico fu Corrado Guzzanti). Ma l’alternativa è crederci appesi a un filo, a un Turigliatto o a un Pallaro. No. Meglio un complotto, di un Turigliatto. Mille volte meglio.

E questo spiegherebbe anche il fascino discreto di D’Alema. Più volte mi sono chiesto il segreto della sua sopravvivenza politica. Chiunque al suo posto, se avesse commesso in 15 anni gli errori che ha fatto lui, avrebbe abbandonato da tempo qualsiasi poltrona di rilievo. Né si può dire che il personaggio compensi la sua miopia politica con la simpatia umana. Insomma, non ne azzecca una e non è neanche simpatico a nessuno: eppure in un qualche modo è sempre lì, e ce lo abbiamo messo noi. Ma come fa?

Forse il segreto è tutto qua: D’Alema ci piace perché ci permette di sfogare su di lui la nostra gran sete e fame di complotti. Con quei baffetti e con quell’alterigia, sembra che tacendo dica ai complottardi: non prendetevela col povero Turigliatto, prendetevela con me. Non vedete che son qua apposta? Turigliatto non è che una pedina. Pallaro, De Gregorio, tutte marionette nelle mie sapienti mani. Non è più riposante sapere che siete nelle mani di un burattinaio, piuttosto che in quelle del caso, del Caos?

Adesso va molto meglio. Tutto finalmente acquista un senso. La crisi di governo è stata pilotata. Da D’Alema. Da mesi sognava di spostare la barra da centro-centro-sx a centro-centro-centro eccetera. Il corteo di Vicenza gli ha fornito l’occasione propizia. Altro che Turigliatto, ma va, Turigliatto. Come si fa a dar la colpa a un Turigliatto? Siam gente seria, noi, gente informata. Abbiam bisogno di nemici seri. D’Alema è il tipo giusto.
E ce lo meritiamo.
Vorrei sapere chi è il mandante di tutte le cazzate che faccio. (Altan)
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il mercoledì delle ceneri è finito

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Metti via quel flagello, e cammina

Ieri, il buon vecchio pezzo di Serra sulla sinistra autolesionista. È piaciuto a tutti. Se lo strappavano di mano i colleghi, in sala insegnanti. Qualcuno ve l’avrà pure spedito via mail. Bello, per carità, giusto, giustissimo, sennonché.

Sennonché, continuare a raccontarci quanto siamo autolesionisti è parte integrante dell’autolesionismo. Non risolve il problema, anzi. A volte può essere fuorviante: in questo caso lo è di sicuro. Due voti in più o in meno in Senato non avrebbero risolto nulla: la maggioranza in Senato è inconsistente, e non da oggi. Perché l’autolesionismo idealista di Rossi e Turigliatto dovrebbe avere più importanza dell’opportunismo bieco di un De Gregorio, dell’ambiguità di un Andreotti, persino dell’influenza di Scalfaro? Anche questi erano voti su cui si contava. Ma noi insistiamo a guardare a sinistra, ai cavalieri dell’Ideale. Non è un obiettivo un po’ facile?

È vero, ce lo ricordiamo tutti il ’98. Fin troppo bene. Eppure la situazione oggi è diversa. Nel 1998 il Prodi Uno non fu abbandonato da un paio senatori intransigenti, ma da un partito intero (anzi, nemmeno intero: Rifondazione si spezzò in due). Il motivo non fu la guerra nei Balcani, come qualcuno continua a dire, ma una serie di rivendicazioni economiche oggi quasi incomprensibili (le 36 ore). Ad accostare il 1998 e il 2007, c’è da scoprirsi ottimisti: nove anni fa i Cavalieri dell’Ideale erano un’orda, oggi un paio di cani sciolti. Allora forse è il caso di piantarla, per un po’, con la favola dell’autolesionismo e dell’idealismo, e accorgersi di quanto è maturata nel frattempo la sinistra italiana. Sì: persino gli idealisti crescono. A furia di autocriticarsi, crescono.

Ieri le facce più arrabbiate erano quelle di Giordano e Diliberto: niente di paragonabile al Bertinotti duro e puro che mandava a casa Prodi nove anni fa. Ma non sono soltanto Giordano e Diliberto: è la base che non ci crede più, alla favola dei duri e puri. Così come non crede alla favole delle zone rosse. Se la piantassimo di intonare autocritiche a ogni infortunio, forse ci accorgeremmo che il movimento pacifista italiano non è solo uno dei più consistenti nel mondo, ma è anche uno dei meno violenti e velleitari. Prima o poi riusciremo anche a sfruttare questa forza enorme e tranquilla per qualcosa di buono. Ci vorrà del tempo e ci vorranno facce nuove. Ma le autocritiche infinite forse non servono più. (Anche perché di solito, le autocritiche a sinistra vanno così: si condanna D’Alema, si perdona D’Alema e si riassume D’Alema).

C’è un tempo per l’autocritica e un tempo per l’autoincoraggiamento. Stavolta direi che puoi andare tranquilla, sinistra: non è stata colpa tua. Non puoi pensare a tutto tu, mentre metà del Paese si crogiola nel desiderio infantile di mandare a casa il mortadella. Ci sarà sempre un’esigua percentuale di cani sciolti, di serpi viscide, di senatori influenzati. Tu hai fatto quel che hai potuto, e adesso dovrai fare molto di più.
Nei prossimi mesi (mesi?) avremo un governo ancor meno di sinistra di quello che c’è stato fino ad oggi. Uno spazio che fino a ieri c’era, per discutere di Dico o di Tav, si è chiuso. Colpa di Rossi e Turigliatto? Se vi fa sentire bene, potete prendervela con loro.
Ma è inutile prendersela con sé stessi. La maturità comincia dove finiscono i piagnistei: se volete comincia adesso. Dipende sempre e solo da noi.
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- hybris!

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Siamo stronzi, che sorpresa

Se adesso vi fermate a ragionare (che è poi l'unico motivo per venir qui, in teoria), non ci mettete molto a capire che stavolta abbiamo davvero esagerato. Con poche migliaia di voti di scarto ci siamo pigliati Quirinale, Senato, Camere e servizi, alla faccia dei buoni propositi. Siamo stati superbi, rapaci e infingardi, e senz'altro verremo puniti per questa… come si scrive… questa hybris. Questo peccato di superbia. E ce lo meriteremo.

Ma nel frattempo:
come ci si sente ad essere superbi, rapaci e infingardi?
Non è fantastico? Non vi fa sentire veri uomini/donne/altro? Non vi ha fatto venir voglia stamattina di partire sgommando dal garage, sorpassando a destra e fischiando alla mora/bionda/o/u sul marciapiede? Durerà poco, ma è fighissimo, diciamocelo. Cosa c'è successo all'improvviso?

Il problema con noi italiani e che ci manca il killer istinct. Come disse un celebre allenatore: quando l'avversario è a terra, siamo culturalmente restii a saltarci sulla schiena e a spezzargli la spina. Retroterra cattolico, troppi rosari, troppe mamme, prega per questo e prega per quello. Anche a sinistra? Anzi, a sx molto più che a destra (il vero cattolicesimo è a sinistra, non crediate: a destra c'è solo qualche confraternita e un po' di cricca ecclesiastica, gli apparati per matrimoni e funerali).

Ed ecco che improvvisamente un bel giorno il centrosinistra si scopre in possesso di un killer istinct persino eccessivo. Cos'è successo? Una mia teoria ce l'ho, basata su un postulato: quando si parla di "centrosinistra" e "centrodestra" come di due entità su un ring, costrette a pugilare ancora per molto tempo, di cosa si sta parlando, veramente? Di due intelligenze collettive.
Ebbene, io non credo molto nell'intelligenza collettiva. Non penso che equivalga alla somma delle intelligenze individuali che compongono la collettività. Per fare un esempio: l'intelligenza collettiva presente in una stanza sigillata, dove siano rinchiusi un astrofisico e un babbuino, per me sarà molto più prossima all'intelligenza individuale del babbuino che dell'astrofisico. Parimenti, l'intelligenza collettiva del centrosinistra sarà di molto inferiore dell'intelligenza di ogni singolo leader del centrosinistra.

In pratica, l'intelligenza collettiva della coalizione di centrosinistra (immaginatevi di sigillare nella stessa stanza Fassino, Di Pietro, Capezzone, Bertinotti… e aggiungete se vi va persino qualche babbuino) non dev'essere molto superiore a quella di un quindicenne. E qui scatta il killer istinct. Quand'è che un quindicenne si permette di fare il gradasso? Quando se lo può permettere? Sbagliato. Quando ne ha bisogno. Quando è insicuro e ha paura. Il centrosinistra sta facendo la voce grossa per dimostrare quello che non ha: il controllo totale del parlamento. Lo vuole dimostrare agli italiani, e ancor prima a sé stesso. L'arroganza è sempre spia d'insicurezza.

Quindi siamo nei guai? Senz'altro. Anche perché dall'altra parte non c'è un'intelligenza collettiva molto più sveglia, anzi. Il centrodestra è da anni in fuga dalla realtà, circondato da smandrappati fondali di cartone: il miracolo italiano, le grandi opere, l'Italia protagonista sulla scena mondiale, eccetera. La tentazione di rinchiudersi definitivamente in un mondo alternativo e irresponsabile è sempre più forte, e alimentata ad arte da tentazioni pruriginose (lo sciopero fiscale, che idea: chi perde le elezioni non paga più le tasse…) Ma mezza Italia non può fuggire dalla realtà – voglio dire, può benissimo farlo, ma alla lunga non è sano. Prima o poi dovrà svegliarsi. Cambiare leader e parole d'ordine. Ci vorrebbe una doccia fredda e salutare – ebbene, questa doccia non arriverà. Non domani e forse mai. Senz'altro non verrà dalle gerarchie del centrodestra attuale, a cui preme conservare lo status quo. Ma ora sappiamo che non verrà nemmeno dal centrosinistra.

Il centrosinistra attuale, in effetti, non ha nessuna convenienza a risvegliare il suo avversario. L'elezione di Napolitano ha dimostrato che se quest'ultimo si arrocca, il centrosx va avanti come un treno. Ha troppe anime da conciliare, troppe correnti da equilibrare, troppi sederi a cui trovare una poltrona, per preoccuparsi dell'avversario suonato. E dagli torto.

Nei prossimi mesi, e forse anni, assisteremo a un duello finto, puro wrestling. A sinistra un bellimbusto che fa bella mostra di muscoli vuoti; nell'angolo a destra, un piccoletto ringhiso aizza la folla con slogan fetenti, ma si guarda bene da tentare qualsiasi affondo. La finzione conviene a entrambi – a pagare, come sempre, sarà il pubblico.
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"E adesso passo la parola a Flippo, che ha qualcosa da dirci su, uhm… il populismo e… gli studi classici"
(Brividi tra gli astanti)


Agli idranti

"Compagni, amici, colleghi: e il Populismo?
No, ma dico, ma ci fa davvero tanto schifo?
Compagni: perché mentre il Populismo di destra va alla grande, quello di sinistra è così fuori moda?"

7. La sinistra perde perché è troppo populista
8. La sinistra perde perché non sa più fare un sano populismo


"Perché se si fa un esproprio proletario, a mano praticamente disarmata, il Popolo Populista si mette istintivamente dalla parte del bottegaio? Una volta non era così. E chi è che ha rubato di più negli anni dell'Euro: il disobbediente o il bottegaio? È una domanda populista, d'accordo, ma perché il populismo da sinistra non funziona più? In fondo Berlusconi e Casarini sono due populisti divergenti e paralleli: uno dice "vi ridurrò le tasse", l'altro "vi do la roba scontata al 70%". E allora perché il primo presiede il Consiglio dei Ministri e l'altro si è ridotto a fare il capoladruncolo nei supermercati? (E a proposito: chi è dei due che mantiene più promesse?)

Un'altra cosa, visto che oggi c'è lo sciopero generale della scuola: ma la piantate di menarvela con quei poveri ragazzini che hanno allagato il prestigioso Liceo milanese? Quelli che a momenti dovevano espellerli da tutte le scuole del Regno? E per cosa? Sappiamo tutti benissimo qual è l'unica cazzata che hanno fatto: andare subito ad autoaccusarsi. Bei fresconi, d'accordo. E allora che facciamo, li interdiamo dai pubblici uffici?

Ma ragioniamo un po' più populisticamente, perdio. Lo scandalo è Casarini che espropria un supermercato, o i prezzi dentro il supermercato? E lo scandalo è un Liceo allagato, o un Liceo dove nel 2004 si fa ancora la Prova scritta di Greco? Di Greco? Ma che lingua è? Ma a cosa serve? Ma è mai servita a qualcosa a qualcuno?

Allora, se in Italia ci fosse un po' di sano Populismo, l'espulsione permanente non andrebbe data a quattro allagatori, ma alle decine di migliaia di insegnanti che pretendono di insegnare ancora il Greco nelle scuole italiane. Questa cosa talmente insensata che grida scandalo al cospetto d'Iddio. E agli allagatori, una medaglia! Martiri della Pubblica Istruzione, questo è quello che sono".

9. La sinistra perde perché ha perso contatto con la scuola, con la cultura, coi classici.
10. La sinistra perde perché non ha avuto il coraggio di dire a migliaia di insegnanti di materie umanistiche che era tempo di cambiar mestiere.


"Compagni, colleghi, so che molti di voi scuoteranno la testa a questo punto. Scuotetela finché vi pare, per quel che vi serve. Metà del tempo la passate a lamentarvi della bancarotta della scuola, della miseria morale dei vostri studenti, del crollo dei valori eccetera. E l'altra metà la passate a correggere aoristi inutili a dei sedicenni. E non vi viene nemmeno in mente di collegare le due cose! Ma spiegatemi perché mai un ragazzino dovrebbe appassionarsi agli aoristi. Persino Canale 5 al pomeriggio trasmette roba più appassionante.

Compagni, O! Dico a voi. Ma li volete chiudere quei Licei Classici, una buona volta? Quella robaccia idealista che era già obsoleta ai tempi di Gentile? Che uno comincia a crescere, scopre che il mondo è bello e vario, e che ci sono migliaia di cose utili da imparare, le scienze, le lingue straniere, la letteratura… poi finisce la scuola media e tac! Due anni di Ginnasio a sfogliare il libri dei morti, il dizionario di latino e il dizionario di greco. E un po' di matematica? Sì, ma solo un pochino, eh, che il ragazzino non ci provi gusto e non si faccia venire in mente di sviluppare in un garage un Sistema Operativo. E le lingue straniere? Massì, una spolveratina nel biennio, e non di più, mi raccomando, che non gli venga in mente di mettere in fuga il suo cervello.

Compagni, già vi sento che digrignate le protesi, e v'indignate, e come si permette questo qui… i classici sono importanti… io ho fatto il classico e ho avuto successo nella vita… O tempora o mores… O grulli! Voi non siete intelligenti grazie al Liceo Classico, voi siete intelligenti malgrado il Liceo Classico. E mi piange il cuore, a pensare a quel che avreste potuto fare se non vi avessero parcheggiato il cervello per cinque anni alla scuola dei ricchi. Che sarebbe il Classico, l'Istituto di Scienze Inutili, il collegio per le dame di buona società. Allaghiamolo! E premiamo chi lo allaga! Ci ha mostrato la strada. E che ci facciamo ancora qui? Fuori! Agli idranti!

(Nessuno si muove)
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poovero, poovero ragazzoNessuno gli vuole bene
(e la sinistra perde anche per questo motivo)

Mamma mia dammi cento lire / Che in America voglio andar…
Cento lire sì te le do / ma in America no e poi nooooo…


Forse è un problema soltanto mio, ma in queste notti di febbre non mi capita raramente di svegliarmi nel cuore della notte, madido di sudore, chiedendomi: "Ma D'Alema ci andrà davvero in America, a quel ciclo di conferenze? Quanto starà via? E la Sinistra, come farà senza di lui?". Ho anche controllato nell'atlante: l'America è un continente, di là dall'Oceano. Dovrà prendere un volo! Intercontinentale! E se c'è tempesta? E se lo dirottano? La sinistra sarà perduta per sempre! In simili incubi mi dibatto, rigirandomi senza trovare pace, finché un'anima buona non mi porge una tachipirina.

Appena giunti in alto mare /il bastimento si rovesciooooò...

Col sole del mattino recupero un po' di buon senso. Ho conosciuto un docente universitario assai famoso nel suo settore (per la verità non solo in quello) che aveva continuamente in programma qualche convegno in qualche luogo remoto. Una volta lo sentii discutere allegramente al telefono dell'opportunità di prendere un Aeroflot (quei famosi aerei russi che nessuno vuole più assicurare) per andare a non so quale simposio bielorusso o moldavo. Un aeroflot, capite! Un docente che tutto il mondo ci invidia, su uno di quei cosi! E credete che fuori dalla porta dello studio ci fosse uno striscione con scritto: "Prof, non vada!"? No, non c'era. Credete che qualcuno fuori dalla finestra scandisse slogan di solidarietà ("Ci porti con noi in Bielorussia!") col megafono? Nemmeno. Le menti migliori della nostra generazione viaggiano continuamente, su aeroflot o altro, raccogliendo inviti di centinaia di convegni e congressi, senza che nessuno protesti mai, o si chieda se fanno così perché si sentono offesi. È una cosa normale, e non fa notizia.

Ma D'Alema sì. D'Alema in tournée in America merita due pagine di Repubblica in due giorni. D'Alema in America è un fatto grave, è un segno che la Sinistra italiana non gli vuole più bene. E allora la Sinistra insorge, come un sol uomo: ma come, D'Alema, non andare, come faremmo senza di te, in America no e poi no, ma sì, ti vogliamo bene, resta. E D'Alema: sì, comunque è solo per un ciclo di conferenze, poi torno, e comunque adesso se insistete tutti mi fate passare la voglia...ecc.
Perché tutta questa manfrina?

Forse ha temuto che nessuno si sarebbe reso conto della sua assenza (effetto "Veltroni l'Africano"), così ha fatto un po' di polemica per attirare l'attenzione. Un po' di polemica non si lesina a nessuno. Ma su che argomento? Il solito: sé stesso.
Io credo che D'Alema sia l'unico politico in Italia in grado di farsi fare un'intervista su sé stesso. Persino Berlusconi, che di sé stesso è ben gonfio, se lo stimoli inizia a parlarti di un sacco di cose che ha in mente di fare, magari un mucchio di cazzate, ma non sempre e solo di sé. D'Alema, lui, ormai è 100% autoreferenziale E' anche disposto ad ammettere degli errori, beninteso, purché siano i suoi. Vive la crisi della sinistra come un dispetto nei suoi confronti: il sunto del discorso è: "Nessuno mi vuole bene, dopo tutto quello che ho fatto per voi, basta, mollo tutto, vado in America a un ciclo di conferenze".

Eppure, per quanto sia disposto a lasciare l'Italia, i compagni, i colleghi, gli affetti, la barca... (e tutto questo solo in nome dell'unità della Sinistra), quando gli si chiede di mollare l'unica carica concreta che gli è rimasta (la presidenza ds), lui non sente. Nella stessa intervista ha detto che non si dimetteva perché tanto quella era una carica priva di potere. Ora, qui, dov'è la logica? Se la presidenza ds è una carica priva di potere, cosa costa a D'Alema rinunciarci? Ma soprattutto, perché ha brigato tanto per averla e poi non l'ha restituita quando tutti (tutti) gli altri dirigenti nazionali si sono dimessi? Niente da fare, piuttosto si fa assumere al Teatro Naturale di Oklahoma: ma mollare quella presidenza, no. È un punto d'onore. "Tanto non conta nulla". Bel rispetto delle istituzioni del suo partito, tra l'altro.

Sabato – non so se ne avete sentito parlare – c'è stata una manifestazione a Roma. C'erano 500.000 persone più D'Alema. Alla televisione hanno intervistato tanta gente qualunque venuta da tutt'Italia, tra cui D'Alema. Dev'essere stata una bell'esperienza, per D'Alema. Adesso i suoi colleghi e avversari avranno un po' più di rispetto, di D'Alema. E la sinistra è di nuovo unita, con D'Alema. Forse quel ciclo di conferenze non è più così urgente, per D'Alema.
Per noi sì.

Sì, il ragazzo è sveglio, ma non fa che pensare a sé stesso e ai suoi interessi. Un bel soggiorno all'estero, una borsa di studi, amicizie nuove, potrebbero forse dargli la scossa che gli serve. Ormai è grande, e sa badare a sé. E noi?
Beh, noi dobbiamo smetterla di preoccuparci per ogni cosa che fa. Appunto, ormai è grande, e proprio perché gli vogliamo bene, quelle cento lire per l'America non sarebbero spese male.
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bevevano i nostri padri?La sinistra si sbraca

È finita la prima fase. Peccato.
Vedo che anche Erik sta recuperando la serietà. Un po’ mi rincresce. La prima ondata di messaggi da Porto Alegre aveva confermato una mia impressione, e cioè che, malgrado i nostri amici si trovassero in situazioni diverse, alloggi diversi, dibattiti diversi, ecc., una cosa li accomunasse: erano tutti un po’ fuori di testa.
Effetto, questo, senza dubbio, del bilancio partecipativo, che la sera ti sale alla testa e ti fa ballare fino a un’ora tarda con gli altri delegati di tutto il mondo, finché la luce di un nuovo giorno non ti ricorda che presto sarà ora di partecipare a un nuovo dibattito, magari in portoghese senza sottotitoli. È dura la vita del delegato.

In questo quadro, il "simpatico scoop" di Francesco (sì, Frieri), aggiunge una nuova istantanea al dossier della nuova sinistra irriverente, la sinistra che si sbraca. Dopo il Moretti lucido e insieme allucinato che grida “con questi qui non vinceremo mai”, ecco a voi l’Agnoletto ubriaco e il Folena timido al balcone. Vediamo di che si tratta.

Lo scoop riguarda Agnoletto. Il leeder (questo sì che è un lapsus, boia d’un mond leeder) del movimento alloggia nello stesso albergo dei parlamentari di Rifondazione, Berinotti compreso, nonché dell'onorevole Folena. Agnoletto è rientrato ubriaco all'albergo con un gruppo di attivisti, ma invece di appropinquarsi al letto alle tre di notte, ha pensato di smaltire la sbornia organizzando un coro a squarciagola "Folena libero, Folena rosso" sotto le finestre dell'esponete diessino, peraltro già oggetto di contestazioni insieme agli altri ulivisti. Folena non ha acceso la luce, qualcuno ha protestato alla polizia per schiamazzi nottturni.
Porto Alegre è anche questo, e la festa notturna del Partito dei Trabajadores risente dell'allegria del carnevale; Casarini, anch'egli ubriaco, balla malissimo.


Francesco vuol maldestramente far pensare che a Porto Alegre, durante il Forum, ci siano soltanto due italiani ubriachi per le strade alle 3 di notte: Agnoletto e Casarini. Dai, Francesco, e tu invece passavi di lì per caso, come al solito…
…ma nessun corrispondente al mondo, mai, userebbe il verbo ‘appropinquarsi’ da sobrio.

Posto che secondo me Agnoletto ubriaco valeva da solo il prezzo del biglietto aereo, il vero protagonista dell’episodio è il povero Folena, già se non sbaglio gran sultano della Sinistra Giovanile, (e quindi, presumo, esperto in gite sociali e convegni con annesse scorribande notturne negli alloggi femminili), costretto a rimanere chiuso nell’albergo mentre fuori imperversa il carnevale. La sinistra perde anche per questi motivi, direbbe Panebianco. E lo diciamo anche noi. Folena, dai, scendi giù, divertiti un po’, spacca il naso a quel pelato, sfogati. O la gente continuerà a pensare che sei abbronzato perché ti fai le lampade. E la sinistra perde anche per questi motivi.
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Mi si nota di più se mi accascio
"No, no, non ero arrabbiato. Ero stupefatto, poi ero sul palco, poi ho parlato. Ho parlato molto?". No, non molto, due minuti. "E cosa ho detto esattamente?"

Secondo me Moretti non voleva davvero. Non dico che non abbia fatto bene. Ma secondo me a quest’ora si sta dando pugni in testa per la stizza. Certe cose le pensiamo tutti, certe cose le diremmo tutti se ci facessero salire su un palco dopo un comizio di Fassino e Rutelli, però poi ci pentiremmo. Forse.
Dico forse, perché Moretti io non lo capisco bene. Con tanti amici che mi citano l’Autarchico a memoria, io l’unica volta che l’ho visto mi devo essere addormentato. Vero che certe sere a Santa Margherita avrei preso sonno anche con Die Hard 2, ma insomma, è un personaggio che non sento tanto mio. Anche questa barba integrale che mi è cresciuta adesso non c’entra niente, mi torna solo utile per simulare con gli studenti età mai vissute.

“Dovete sapere che quando io avevo la vostra età… più o meno dopo la terza guerra punica…”
“Ma prof, insomma, lei quanti anni ha?”
“Io ho tutti gli anni del mondo, Carbone”.
“Sembra giovane, però…”
“Perché mi nutro del sangue degli studenti importuni. Dicevamo: quando ero giovane io, figuratevi, internet praticamente non esisteva…”

Mi è tornato in mente Moretti per un altro motivo, tutto personale. Insomma, Giuliana aveva fatto questa festa e per telefono si era capito che ci teneva. Aveva chiamato un po’ di gente che conosciamo, ma io non sapevo bene come comportarmi. Sarà stata la tensione, lo stress di un pomeriggio impiegato in scrutini di ragazzi conosciuti una settimana prima, sarà stata qualche melanzana fritta o l’uvetta nell’insalata, insomma, la gastrite ha risolto tutti i miei problemi. Sono sprofondato prima sul divano, poi sul letto in fondo al corridoio, poi sul pavimento del bagnetto, poi di nuovo a letto, poi è venuta ora di salutare tutti e andare a casa.

Insomma: una serata perfetta. Anche perché ad accudirmi c’erano sempre un paio di ragazze che si turnavano, e quasi sempre erano ragazze molto importanti della mia vita, anche se non era obbligatorio. E io non dovevo atteggiarmi, non dovevo trovare discorsi: stavo disteso coi pantaloni slacciati e andavo bene così. Loro erano molto carine e molto materne, alcune mi toccavano la pancia, altre mi toccavano in generale.. Insomma: mi si nota di più se mi accascio in un angolo con la gastrite. Adesso che lo so, chi mi ferma più.
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Faccia da moderato
Sarà per come mi vesto, o magari proprio per la faccia che porto, fatto sta che passo per moderato, e alla mia età non è un bel vivere.
Certe sere che la stanchezza, l'alcool forse, allentano i freni alla dialettica, sento che mi si rinfacciano cose tremende. Qualche settimana fa sono stato accusato di avere ripetutamente bombardato Belgrado. I proiettili all'uranio, li ho sparati tutti io. Ho anche venduto la scuola ai privati. Cioè ai cattolici. Cioè a me stesso, perché è questo che sono alla fine: un cattolico, e pure moderato.
Io non posso obiettare granché. Una volta tra moderati ci si difendeva dicendo: abbiamo eseguito gli ordini, ma io non ho ricevuto nessun ordine. Forse avrei dovuto ribellarmi contro questo intollerabile regime moderato, come hanno fatto in molti, e come immagino che molti vorranno fare il 13 maggio.
E invece no. Sangue moderato, voterò Rutelli e spero pure che vinca, e se perderà soffrirò molto.

Secondo me l'espressione 'centrosinistra' è un po' fuorviante. Non ci sono mai stati i numeri per un governo di centrosinistra in Italia. Dipendesse da me, certamente vorrei un governo di centrosinistra, ma che dico, di sinistra avanzata. Vorrei anche un mondo più giusto, più libero, più pulito. Sì. Comunque non ci sono mai stati i numeri per un governo di centrosinistra in Italia. Questa è la mia moderata opinione.
Quando nel '95-'96 nacque l'Ulivo, fu chiaro sin da subito che non si trattava del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo, bensì di un raggruppamento civile di partiti e gruppi, con storie e punti di vista anche molto diversi, scesi a patti contro i nemici comuni: il separatista e xenofobo Bossi, il postfascista Fini, il ladro Berlusconi. Non è mai stato il centrosinistra contro il centrodestra, ma piuttosto la società civile contro la società non civile, e la civiltà ha vinto. Di misura, d'accordo. Però ha vinto.
In quella società civile c'era l'antico PDS, i Verdi e (in una posizione defilata, "mi si nota di più se non vengo"), Rifondazione Comunista. Ma c'era anche il partito di Lamberto Dini, ex ministro del tesoro di Berlusconi, contro la cui riforma pensionistica la sinistra aveva scatenato la più memorabile manifestazione degli anni '90. C'era il Partito Popolare che era in perfetta continuità storica con la corrente della sinistra DC. A un certo punto c'è stato anche Antonio Di Pietro. Infine, il candidato dell'Ulivo era Romano Prodi, un ex boiardo di Stato, che non aveva mai tirato nessuna molotov, neanche nella beata giovinezza. Tutti noi sapevamo questo. E tuttavia abbiamo votato per l'Ulivo. Per mandare a casa il separatista e xenofobo Bossi, il postfascista Fini, il ladro Berlusconi.
Poi – finché è durata – è stata una gradita sorpresa. Fino all'autunno del '98 abbiamo avuto un governo più "di sinistra" di quanto avremmo potuto ragionevolmente aspettarci. La famosa scuola pubblica non è stata svenduta in quegli anni, per intenderci. Ma poi Rifondazione ha chiesto la crisi. E nessuno ha ancora capito il perché. Forse pensava che con D'Alema avrebbe avuto un interlocutore "di sinistra". È stato un tragico errore.
Da lì in poi, se vogliamo rinfrescarci la memoria, i governi si sono tenuti in piedi con personaggi come Cossiga e Mastella. Rifondazione si è spaccata. I popolari si sono spaccati. I ministri riformisti di Prodi sono stati allontanati. E c'è stato anche il caso del Kossovo, in cui l'Italia, in quanto membro della NATO, si è ritrovata invischiata in un'operazione militare assai discutibile. D'altro canto l'unica formazione politica che metteva in discussione l'alleanza con la Nato, Rifondazione, aveva già scelto da tempo la propria emarginazione politica.
Le cose sono andate così, e forse alla fine Rutelli non è il candidato più simpatico del mondo. Ma nel 2001 rischiano di andare al potere: il separatista e xenofobo Bossi, il postfascista Fini, il ladro Berlusconi (e il mafioso Formigoni), per cui a me la scelta sembra scontata.
Qualcuno la penserà diversamente. Penserà che nel '96 avevamo votato un governo "di sinistra", che però ha tradito "la sinistra" perché non ha fatto cose abbastanza di "sinistra", perciò Rifondazione, che è la vera "sinistra", giustamente si è dissociata, e quel che conta, ora, è iniziare una vera discussione "a sinistra", perché in lontano futuro possa esserci in Italia una "sinistra" degna di questo nome.
Io, sarà per la faccia da moderato che mi trovo, ma non credo sia necessario sacrificare la società civile e consegnare l'Italia a Berlusconi per trovare significato alla parola "sinistra". Ci stiamo per giocare qualcosa di più di una parola, di una cultura, di un'identità. E poi forse la parole, le culture, le identità… non sono così importanti.
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